martedì 6 maggio 2014

UN PAESE SENZA

(Omaggio ad Alberto Arbasino)

di Massimo Colaiacomo

Un Paese senza memoria
Un Paese senza storia
Un Paese senza passato
Un Paese senza esperienza
Un Paese senza grandezza
Un Paese senza dignità
Un Paese senza realtà
Un Paese senza motivazioni
Un Paese senza programmi
Un Paese senza progetti
Un Paese senza testa
Un Paese senza gambe
Un Paese senza conoscenze
Un Paese senza senso
Un Paese senza sapere
Un Paese senza sapersi vedere
Un Paese senza guardarsi
Un Paese senza capirsi
Un Paese senza avvenire?

Datato 1980, il libro di Alberto Arbasino uscì nella collana dei Saggi blu dell'editore Garzanti. "Un Paese senza" era un tuffo nell'antropologia becera e appassionata di un Paese perennially dismayed, costretto alla replica dei propri 'trip' e ubriacato dai contorsionismi di una vitalità che si vuole scambiare per vita sociale, ordinaria e tranquilla. La visionarietà profetica di Arbasino conteneva tutti i "Genny 'a carogna" in via di distillazione e attaccati come acari puntuti sulla superficie dell'Italia, essendo l'Italia un Paese di superficie e niente d'altro.
Le pareti della Repubblica, o quello che di esse è rimasto in piedi, hanno vacillato sotto la tracotanza e il vitalismo ribaldo di Genny 'a carogna e Stefano Folli, da analista acuto ma anche rabdomantico, vi ha letto la metafora della crisi morale che ha aggredito e debilitato il tessuto della nazione. Le reazioni della politica, tardive e stucchevolmente impettite, nel tentativo di circoscrivere lo sconcertante episodio dello Stadio Olimpico hanno finito per amplificarne la ferocia metaforica. È triste sentire un presidente del Consiglio esortare le società calcistiche ad accollarsi le spese per l'ordine pubblico dentro e intorno agli stadi. Tristissimo sentire dal presidente della Repubblica che le società non devono più trattare con gli ultrà, come se la soluzione al degrado della vita civile potesse venire dalla fine di ogni trattativa senza sapere che cosa fare degli ultrà, e perché ci sono gli ultrà e che cosa fanno nel tempo che precede l'esplosione della loro ferocia. Le istituzioni e la politica sono esattamente come Beppe Grillo le vede: impotenti di fronte alla realtà che non sanno più leggere né interpretare; ridicoli nei loro richiami impastati di retorica fritta e vuota. Sono il simulacro di una vaporosità inutile, una bolla d'aria che volteggia sul deserto di una società disintegrata e forse mai esistita e riconosciuta nella sua identità.
Che cos'è la Nazione? si chiedeva Ernest Renan, nel 1882, in una straordinaria lezione al Collège de France in cui esaminava gli antefatti che avevano portato la Francia alla catastrofe del 1870.  "La nazione è dunque - era la risposta di Renan - una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme. Presuppone un passato , ma si riassume nel presente attraverso un fatto tngibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme. L'esistenza di una nazione è (mi si perdoni la metafora) un plebiscito di tutti i giorni".
Come si potrebbe attualizzare la lezione, se una lezione c'è, del grande storico conservatore francese per adattarla all'Italia? Ripetere i plebisciti del 1860? Bandita la parola Nazione, perché l'ortodossia storiografia del marxismo ha stabilito che essa è sinonimo e filiazione diretta del fascismo infischiandosene del nazionalismo democratico e risorgimentale di Giuseppe Mazzini, l'Italia si è degradata al rango di Paese. Il discorso pubblico non ha mai tollerato che quella parola, altrove pronunciata con orgoglio impettito, forse retorica, ma capace ancora di suscitare sentimenti negli animi meno meschini, venisse pronunciata nelle occasioni solenni e dunque rituali.

La deriva civile dell'Italia è racchiusa in quei profetici "senza" messi in colonna da Alberto Arbasino 34 anni fa. Lo smottamento della società è lo specchio fedele dell'afasia politica. Pensare di ricostruire il sentimento di una Nazione mettendo 80 euro in busta paga non è un'operazione ardimentosa ma soltanto un espediente meschino per garantire la sopravvivenza di un ceto politico vittima della propria ignavia e incapace di rivolgersi agli italiani per richiamare ciascuno alle proprie responsabilità e ai propri doveri. Renzi vuole riformare la società e cambiare verso, ma una società, qualsiasi società, prospera soltanto se può appoggiarsi sulle pareti solide di una Repubblica. Oggi l'Italia è "Un Paese senza Repubblica". 

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