lunedì 19 maggio 2014

LA GRECIA FUORI DAL POPULISMO E DENTRO L'EUROPA


L'Italia nei marosi del populismo e lontana dalle riforme

di Massimo Colaiacomo


     Sarà dunque il "partito del non voto" a decidere , questa volta più che nelle precedenti occasioni, l'esito del voto europeo. Si parla (si veda l'analisi di Luca Tentoni sul Giornale di Vicenza")di un bacino elettorale dalle dimensioni ignote ma, secondo gli ultimi sondaggi consentiti dalla bizzarra legge elettorale, non lontano dal 40-45% degli aventi diritto. Renzi, Berlusconi, Grillo dovranno guardare dentro la platea delle astensioni per capire le ragioni di vittorie o sconfitte clamorose. Le ragioni di uno sciopero elettorale di massa, comportamento diffuso un po' ovunque negli altri Paesi europei, in Italia ha radici recenti e abbastanza intricate.
     Ci sono, per un verso, ragioni tutte italiane, riconducibili alla situazione di crisi del sistema, che si ricollegano, amplificandole, a ragioni europee. L'Unione rischia di collassare sul piano politico. I meccanismi che disciplinano le decisioni del Consiglio europeo sono barocchi e il trasferimento di quelle decisioni alla Commissione europea avviene attraverso un ulteriore negoziato che si svolge attraverso una procedura duale per coinvolgere, a livello consultivo, il Parlamento europeo. Si tratta, come è facile intuire, di uno schema paralizzante per qualunque decisione, dalla più importante alla più ininfluente. Non va trascurato, in questo contesto, il ruolo atipico della Banca centrale europea. Priva del ruolo di lender last resort, la Bce opera attraverso un direttorio i cui membri pesano ciascuno per la quota di competenza del proprio Paese. Se parla il presidente della Bundesbank, le sue parole valgono il 18,5%, se a parlare è il presidente della Banca centrale spagnola, le sue parole valgono il 12,5% e così via. Se infine rimangono dubbi sulla politica dei tassi, allora Draghi alzerà il telefono per parlare con il cancelliere Merkel o il suo ministro delle Finanze Schauble.
     Da qualche tempo, il presidente Draghi parla molto con la signora Merkel e molto poco con il suo rappresentante nel direttorio. La conseguenza di questo è il permanere di tassi bassi e il probabile varo a giugno di un quantitative easing sul modello di quello voluto da Bernanke in America. Dopo aver minacciato nel luglio 2012 di essere pronto a fare whichever thing in difesa dell'Euro, fra qualche settimana Draghi potrebbe essere chiamato all'azione e fare davvero qualsiasi cosa. Insomma, a mettere mano a quei 1000 miliardi di euro per acquistare i titoli del debito dei Paesi periferici.
     Domanda: quei 1000 miliardi sono un firewall sufficiente per mettere al riparo la moneta europea? L'Euro, insomma, si salva perché la Bce, autorizzata da Berlino, acquista debito sul mercato primario, oppure quei soldi servono per "comprare tempo" e consentire ai Paesi ritardatari (leggi Italia) di fare le riforme sempre annunciate e sempre rimaste nel limbo delle intenzioni?
     L'Italia non ha le carte in regola per chiedere alcunché ai partner europei. Quanto fatto finora dal governo Renzi è meno del minimo sindacale richiesto. Le riforme sono il collutorio al quale ricorrono le forze politiche per fare qualche gargarismo nelle occasioni speciali. Nessuno dei populisti in campo - si tratti di Berlusconi, Renzi o Grillo - ha fin qui trovato il coraggio della verità, cioè raccontare agli italiani che i cambiamenti necessari sono socialmente sanguinosi e presuppongono una transizione, nel mondo del lavoro e dell'economia, fatta di tagli di spesa, licenziamenti nel pubblico impiego senza più la dorata via d'uscita del prepensionamento. Si parla di misure adottate in Spagna, in Grecia, in Portogallo in questi Paesi si preparano a cogliere frutti importanti.
     I populisti italiani tacciono su queste circostanze. Si appagano di concedere un bonus di 80 euro a chi lavora, o di promettere dentiere gratis e cibo per cani esente Iva. Oppure di dare un reddito di cittadinanza di 1000 euro a tutti i cittadini o lo stipendio di 800 euro alle casalinghe. La moltiplicazione dei pani e dei pesci è destinata a impallidire di fronte a questi fuochi d'artificio.
     Così stando le cose, come non giustificare lo scetticismo con cui i partner europei guardano all'Italia? Come sorprendersi se la Germania coltiva una crescente diffidenza? Gli antieuropeisti sono cresciuti e sono più forti laddove più debole è stato il ciclo riformatore.
     Grillo e Le Pen sono campioni di antieuropeismo in due Paesi che meno di altri hanno fatto riforme. A conferma di questo, può essere utile lanciare un occhio a un recente sondaggio condotto in Grecia. Del campione di cittadini interpellati, soltanto il 25% si è detto favorevole a uscire dall'Euro. Il restante 75% è diviso fra molto favorevole (46%) e abbastanza favorevole (29%) a conservare la moneta unica.
     Si sta parlando qui della Grecia, cioè del Paese che è stato il cuore dell'incendio europeo e ha pagato prezzi sociali altissimi. Bene: dopo un percorso di lacrime e sangue, i greci hanno scoperto, e capito, quanto sia utile e positivo per loro trovarsi nell'Unione europea e avere in tasca la stessa moneta dei tedeschi o degli olandesi. In Italia è accaduto il processo contrario: meno riforme si sono fatte e più lontana è stata avvertita l'Europa. Con ciò confermando che la medicina diventa tanto più amara quanto più si allontana il momento della sua assunzione.

Nessun commento:

Posta un commento