martedì 28 ottobre 2014

BERLUSCONI NON VA CONTRO LA STORIA PERCHÉ NON PUÒ PIÙ SCRIVERLA


di Massimo Colaiacomo

     Nessuno deve aver segnalato a Silvio Berlusconi la bella lettera scritta dalla signora Monica Scarano da Lille (il Foglio, giovedì 23 ottobre) in tema di unioni civili  e di procreazione medicalmente assistita. Neppure Giuliano Ferrara, che lo ha intervistato (il Foglio, martedì 28 ottobre) per registrarne la deliberata volontà di non mettersi "contro la storia".
     Si può partire da quest'ultima, intemerata affermazione di Berlusconi. Il reduce di mille battaglie contro la "giustizia ingiusta", il vincitore di epici scontri elettorali, ha deciso di "farsi cambiare" dalla realtà contro la quale ha navigato e combattuto per un ventennio. Berlusconi sa che la storia è sempre stata scritta dai vincitori, e Matteo Renzi si annuncia oggi come il vincitore di una non breve stagione politica. Berlusconi dovrebbe anche sapere che sono almeno due le modalità per "entrare" nella storia: o sei un vincitore, e la scrivi, oppure sei uno sconfitto che ha combattuto e perso non dentro una storia scelta da altri ma per l'ambizione di volerne scrivere un'altra, diversa e opposta rispetto al mainstream.
     La virata di Forza Italia a favore delle unioni civili è la conferma, a posteriori, delle posizioni clericali (leggi: interesse politico nella fede altrui) che animavano il PdL quando riempì le piazze d'Italia con le manifestazioni pro-family e pro-Life. L'apertura oggi a una legislazione positiva per le unioni civili omosessuali è soltanto l'ultimo atto della resa politica di Berlusconi alle ragioni dei nuovi vincitori. In Forza Italia, come negli altri partiti, si riflette sulla questione delle unioni civili ragionando sulla base di un presunto interesse elettorale. Non c'erano convinti paladini della famiglia naturale (naturale, non cattolica) ieri, non ci sono oggi sostenitori inflessibili delle unioni civili.
     Il riconoscimento giuridico degli affetti privati fra due persone è un'aberrazione costituzionale resa necessaria da chi è seriamente impegnato a demolire l'istituto della famiglia. Quando Berlusconi sottolinea che le unioni civili non potranno mai essere equiparate alla famiglia, dice consapevolmente un'idiozia perché prefigura una famiglia di serie B la quale, una volta costituita, rivendicherà, a quel punto giustamente, lo stesso trattamento giuridico di ogni famiglia. Quanto alla procreazione, come negare a una famiglia costruita con un artificio sociale e giuridico di avere una prole altrettanto artificiale? Su questi punti, è da temere che Berlusconi troverà pane per i suoi denti negli alleati politici che sta inseguendo, Giorgia Meloni e soprattutto Matteo Salvini. La corsa alla normalizzazione di Forza Italia, e dunque alla sua definitiva archiviazione, passa anche da una questione sociale e civile così devastante. Così, dopo le cene gli italiani potranno apprezzare anche le "famiglie galanti".

lunedì 27 ottobre 2014

IL PD SI PIEGA MA NON SI SPEZZA, RENZI AVANTI CON MEZZE RIFORME

di Massimo Colaiacomo

Per tutti i curiosi delle statistiche: Matteo Renzi è il più giovane presidente del Consiglio nella storia della Repubblica, avendo ricevuto l'incarico il 22 febbraio 2014, all'età quindi di 39 anni e un mese. Un record che dalla Repubblica si estende al Regno d'Italia e alla storia dell'Italia unita: prima di Renzi il record era detenuto dal cav. Benito Mussolini, che divenne presidente del Consiglio il 1° novembre 1922, cioè all'età di 39 anni e 3 mesi, dunque di due mesi più vecchio di Renzi.
La curiosità però finisce qui e nessuna malizia autorizza a stabilire un parallelo fra le due vicende politiche. Anche perché Renzi ha fatto sapere ai "leopoldini" che lui conta di limitarsi a due mandati governativi, quindi a un ciclo di governo di 10 anni, salvo che il capriccio della storia e ancor più quello degli elettori non decida diversamente.
Ha scritto con la consueta intelligenza Stefano Folli che la manifestazione della Leopolda è in qualche misura la Bad Godsberg di Matteo Renzi, dal ome della località in cui Willy Brandt celebrò il congresso storico con cui la Spd  rinunciava   Si può solo aggungere che Renzi ha dovuto fare fatica doppia: costruire la sua personale Bad Godsberg e, insieme, scrivere l'Agenda 2020 perché alla sua ambizione non può bastare la rottamazione dell'ideologia marxista e delle incrostazioni di potere costruite grazie ad essa, ma deve aggiungervi lo scatto di Schröder che non poteva avere, nel 1959, Willy Brandt.
Il trattamento ruvido, al limite dello scherno, riservato alla minoranza interna del PD e alla Cgil di Susana Camusso non può essere interpretato come il benservito alla componente ideologica di origine comunista, ormai residuale a dispetto delle migliaia di manifestanti accorsi a piazza San Giovanni. Per la buona ragione che a sinistra del PD non si intravvede al momento lo spazio per una sinistra radicale elettoralmente importante, sul modello Tzipras per intendersi, ma esiste soltanto un terreno, non si sa quanto ancora fertile, per una sinistra populista sul modello grillino. E la forza elettorale di Grillo funziona, paradossalmente, da argine a ogni tentativo di scissione nel PD perché la sua forza di attrazione, appannata quanto si vuole, potrebbe attirare nella sua orbita ogni diaspora a sinistra e quindi privarla di senso politico. 
Per queste ragioni Renzi può dire di non temere avversari alla sua sinistra. C'è da credere, però, che neppure cercherà di crearli. La strategia di sfondamento al centro, premiata come si è visto con il voto europeo, obbliga il premier a muoversi con una dose crescente di disinvoltura e a tagliarsi tutti i ponti alle spalle perché sa che la spaccatura del partito non è alle viste. Questa circostanza, però, non sembra mettere benzina sufficiente nel motore del governo. A Renzi va dato merito di aver messo in moto un cambiamento del costume politico e l'anagrafe dei ministri, come l'anagrafe delle nomine pubbliche, ne sono la testimonianza più evidente all'occhio. Tutto qusto non si è però tramutato in una direzione di marcia chiara e, quel che più conta, non ha indicato al Paese un grande traguardo.
Tutte le sfide economiche sono state rinviate e si può credere che alla fine, con qualche acrobazia, Renzi riuscirà a strappare il sì della Commissione europea al rinvio del pareggio strutturale di bilancio al 2017. In cambio, come ripete il ministro Padoan, di quelle riforme strutturali diventate un po' l'Araba fenice della politica italiana. Ma quali riforme e con quale capacità di incidere nel corpo anchilosato della società italiana? La riforma del lavoro con l'art. 18 mezzo abolito e mezzo riscritto? O quella delle Province, da abolire ma anche da far sopravvivere? O quella della Pubblica amministrazione centrata tutta su una staffetta generazionale destinata ad appesantire il debito pubblico fra nuove assunzioni e pensionamenti anticipati per i dirigenti? La riforma della scuola, vera emergenza formativa e pedagogica della società italiana, consiste in 140 mila insegnanti da assumere o nella costruzioe di laboratori linguistici, nell'affermazione del modello duale scuola-lavoro? Tutto questo non è previsto nell'orizzonte di un esecutivo nato con l'ambizione di cambiare il Paese ma riuscito finora a cambiare il PD. Il che, va riconosciuto, è un ottino inizio sempre che Renzi non lo trasofrmi anche nel traguardo.
 
 

domenica 5 ottobre 2014

MERKEL E DRAGHI ARBITRI DELLA LEGISLATURA, A RENZI NON BASTA PIÙ L'OSSIGENO DI FORZA ITALIA

di Massimo Colaiacomo

Il Patto del Nazareno è l'unico, vero cemento della legislatura. Il resto è scritto sull'acqua. Quando scade il Patto del Nazareno scade la legislatura e, con la legislatura, scadono Forza Italia e il centrodestra, presenze sempre più pulviscolari nel quadro politico. Berlusconi non rottama Forza Italia perché non ha alternative: il brand ha la sua utilità, come si è visto, immaginarne un altro è perfettamente inutile per un leader preoccupato soltanto di governare il proprio declino.
La frantumazione degli schieramenti segue ritmi e tempi diversi a destra e a sinistra. Berlusconi è un leader ormai inadeguato a federare altre forze sulla base di un progetto politico forte e credibile. Contestato dentro Forza Italia, da chi, come Raffaele Fitto, ha avuto il coraggio di denunciare il vuoto politico in cui annaspa il partito, ha perso ogni forza attrattiva verso gli altri alleati. Considera Alfano un traditore, ammicca a Salvini come a "un tribuno di cui tener conto" ma non scalda il cuore di Fratelli d'Italia. Fuori da questa galassia, e con una presa ancora scarsa su di essa, si muove il satellite velleitario di Corrado Passera che potrebbe essere raggiunto presto da Diego Della Valle: due presenze sulla cui forza è lecito nutrire molti dubbi.
A sinistra le cose sono del tutto diverse. Matteo Renzi ha la forza attrattiva sulla società come era per i primi tempi di Berlusconi. Un politico intelligente come Matteo Richetti ha ben riassunto il problema di Renzi: dialoga con il Paese, saltando il partito, e questo apre una questione sulla credibilità politica del PD che mobilita milioni di elettori ma smobilita gran parte degli iscritti. L'idea dell'uomo solo al comando si è fatta strada, forse oltre le intenzioni dello stesso Renzi, e questo complica terribilmente ogni proposta di riforma delle istituzioni. Perché il Senato e la legge elettorale, sempre che regga il Patto del Nazareno, saranno abiti confezionati su misura non più sul sistema dei partiti ma sulla capacità e sulla forza del candidato di imporre la leadership nel proprio schieramento.
Renzi ha conquistato milioni di elettori al PD ma questa circostanza inquieta una parte dell'apparato del partito che vede così minacciata quella certa idea della politica da elaborare all'interno degli organismi e dell'apparato. Resta da chiedersi se la capacità di espansione di Renzi nella società italiana abbia toccato il suo apice o se disponga di ulteriori margini. Di sicuro si sono ristretti i margini per le formazioni minori alla sua sinistra, erosi dalla capacità manovriera del premier.

Sulla partita politica che Renzi gioca in Italia pesa l'ipoteca di un arbitraggio esterno sul quale il premier non può esercitare nessun condizionamento. Renzi ha preso impegni in Europa e la Commissione europea, e dunque il Partito popolare e dunque Angela Merkel, sono i veri arbitri della partita politica in Italia. La Legge di stabilità varata dal Consiglio dei ministri non è diversa da una lastra di difficile lettura, con alcune opacità sulle quali i radiologi di Bruxelles vorranno fare chiarezza. Troppe clausole di salvaguardia, e quindi troppi rischi di nuove tasse (meno detrazioni fiscali sono nuove tasse, chiamate diversamente). Il premier gioca di sponda con la Bce, in attesa di vedere se e in che misura il "quantitative easing" preannunciato da Mario Draghi ma duramente osteggiato dai Paesi nordici (e da quanti come Grecia, Spagna e Portogallo hanno "fatto i compiti a casa" e sono ora contrari a concessioni per Francia e Italia dopo essersele viste negare). Ma Draghi non è indulgente: le misure monetarie non sostituiscono le riforme strutturali. Come nel gioco dell'oca, Renzi torna alla casella iniziale: ha la forza in questo Parlamento, e nel PD, per fare quello che a nessuno prima di lui è riuscito?