mercoledì 2 luglio 2014

DA OMOFOBO A GAY FRIENDLY: BERLUSCONI È UNO, NESSUNO E NIENTE

di Massimo Colaiacomo

La svolta gay friendly di Silvio Berlusconi rientra in una più ampia strategia di sopravvivenza politica del suo ideatore. La politica di Forza Italia è ormai molto simile alla "pasta fatta in casa". Un famigliare si muove con una propria iniziativa di forte impatto mediatico (Pascale si è iscritta all'Arcigay) e, a ruota, segue Berlusconi con un annuncio "frenato" in quella direzione.
La sua apertura al riconoscimento delle unioni omosessuali è un passo politico meditato, ma, nello stesso tempo, è anche la conferma dello stato confusionale in cui versa quel partito. A Berlusconi è inutile chiedere una qualche motivazione culturale o antropologica dei suoi gesti poiché essi nascono soltanto da un calcolo di convenienza politica e, meglio ancora, personale. Quando in autunno il Parlamento affronterà l'esame delle proposte di legge sul riconoscimento delle coppie gay Forza Italia non resterà più isolata in una posizione conservatrice o, come amano dire i relativisti evergreen, di chiusura "bigotta".
Questa decisione ribalta una lunga stagione di "collateralismo" supino alla Chiesa cattolica e conferma tutta la strumentalità della precedente posizione sui diritti civili, non inferiore né diversa rispetto alla strumentalità della svolta gay friendly. Se qualcuno era ancora curioso di misurare il vuoto politico e culturale che assedia Forza Italia trova oggi abbondanti conferme.
I valori cosiddetti "non negoziabili" si scoprono oggi più o meno ampiamente negoziabili. La spiegazione della svolta è ridicola e risibile in sé visto che appaia Berlusconi al Papa del quale si ricorda la risposta data a un giornalista "chi sono io per giudicare i gay?". Cambiare posizione, per di più con la benedizione del Pontefice, è un po' come acchiappare due piccioni con una fava: si resta in linea con la Chiesa e per di più si fa una comoda apertura a un mondo da sempre ostile e lontano da Forza Italia. Soprattutto, nella testa di Berlusconi, c'è la preoccupazione di restare agganciati al "renzismo" in tutte le sue declinazioni, attenuando quanto più possibile le distanze fra l'accordo sulle riforme e l'azione quotidiana di governo. Ammesso che Forza Italia abbia mai avuto la connotazione di un partito cattolico, si deve aggiungere che l'ultima sbianchettata di Silvio Berlusconi ne ha pressoché cancellato ogni traccia.
Nella marcia di avvicinamento ad argomenti e temi propri di Matteo Renzi (e quindi alla sua maggioranza) resta netta la differenza di impostazione sulle politiche economiche e di bilancio del governo. È interessante osservare, però, come anche in questo caso le argomentazioni critiche di Forza Italia si risolvano in un gioco di sponda: non sono mai dirette contro Matteo Renzi in quanto tale, ma attraverso di lui mirano all'Europa e alla Commissione europea colpevoli, secondo il refrain di Forza Italia, di aver distrutto le economie dei Paesi mediterranei.
Da qui all'autunno, però, non sono poche le difficoltà che proprio sul terreno dell'economia il governo dovrà superare. Per Renzi si annuncia un vero e proprio percorso di guerra, con o senza la flessibilità dei parametri mai chiesta da Renzi all'Europa - secondo la versione di Schaüble. Se le previsioni dell'Istat sul Pil negativo anche nel secondo trimestre saranno confermate dal dato finale, si aprono problemi di finanza pubblica in termini di gettito fiscale. La manovra che il ministro Padoan continua a escludere potrebbe essere in autunno un passo obbligato e socialmente non indolore. Le voci che si rincorrono in qualche sale operativa sulla possibile parziale ristrutturazione del debito pubblico sono probabilmente infondate. È significativo però il contrasto tra la ventata di ottimismo mediatico che Renzi suscita e alimenta con le sue infaticabili apparizioni e la realtà prosaica di chi maneggia il denaro e lancia lo sguardo oltre la carta scintillante dei pacchi-regalo confezionati da Renzi.

L'autunno non è remoto. La riforma del Senato e della legge elettorale riescono a mettere d'accordo un vasto fronte parlamentare e Renzi fa bene a non temere il dissenso, sia pure organizzato, che agita il PD. Ma la musica cambierebbe rapidamente se dalle riforme si dovesse passare attraverso nuove turbolenze sul debito pubblico. In questo caso non sarebbe agevole per Renzi silenziare il dissenso non solo politico ma anche sociale.