venerdì 13 marzo 2020

L’ITALIA GUARDA IL DITO DI LAGARDE MA NON VEDE LA LUNA

di Massimo Colaiacomo

     Christine Lagarde poteva risparmiarsi certe affermazioni alquanto ruvide sullo spread la gestione della cui ampiezza non rientrerebbe, così ha fatto intendere, fra i compiti della Bce. Quest’affermazione, come tutti hanno potuto constatare, ha scatenato un generale panic selling sulle Borse mondiali ma ha spezzato le gambe in particolare a Piazza Affari caduta di oltre il 16%. In questi casi, come usa dire, sono stati “bruciati” centinaia di miliardi. Un’affermazione temeraria e infondata, poiché i miliardi bruciati riguardano eventualmente i venditori, che registrano perdite più o meno notevoli, non certo i compratori che si preparano a fare buoni affari.
    Se si guarda con più ragionevolezza e meno emotività all’affermazione di Lagarde non si può trascurare un aspetto importante che non è subito balzato all’attenzione degli osservatori. La presidente della Bce ha voluto richiamare gli Stati dell’eurozona a farsi carico delle responsabilità e delle decisioni conseguenti e ineluttabili per fronteggiare l’emergenza sanitaria da coronavirus e le sue imponderabili conseguenze economiche. Se c’è un leader politico a doversi sentire chiamato sul banco degli imputati dall’affermazione di Lagarde, questa è Angela Merkel. Non sappiamo come gli analisti hanno interpretato la sua affermazione di qualche giorno fa. La Germania è pronta a sostenere tutti gli sforzi economici necessari contro il coronavirus. Ecco il punto cruciale, il bersaglio contro cui erano indirizzate ieri le parole di Lagarde: la Germania “è pronta”. E l’Europa? E la Commissione europea?
     Lagarde non ha negato, come si è pensato in un primo momento, la disponibilità della Bce a sostenere i bilanci pubblici, in particolare di quei Paesi, come l’Italia, più colpiti dalla diffusione del contagio e dunque più vulnerabili nell’attività delle sue filiere produttive. No, la presidente della Bce ha voluto mettere la Commissione europea e i singoli Stati di fronte alle loro responsabilità politiche. Decidete voi, è stato in sostanza il suo messaggio, se e in che misura ritenete opportuno valicare i bastioni del deficit e del debito pubblico fissati nel Trattato di Maastricht. Una denuncia dell’inadeguatezza delle scelte politiche quale mai si era vista o sentita prima d’ora. Ma anche assolutamente in linea con il suo predecessore Draghi del quale Lagarde si limita a sviluppare le conseguenze del suo whatever it takes. Con una chiosa importante: la Bce è impegnata da anni nel ruolo di supplenza della politica comunitaria, ora è il momento che sia la politica ad assumersi la responsabilità di scelte e decisioni non più rinviabili. E il discorso tocca il cuore della politica tedesca, sorda a ogni richiamo di ridurre il suo surplus commerciale. E colpisce l’egoismo dei Paesi di Visegrad, riottosi, al pari dell’Europa del Nord, a superare le colonne d’Ercole dei parametri di Maastricht.
    Vista sotto questa luce, l’affermazione di Christine Lagarde può ragionevolmente iscriversi fra i combattenti per un’Europa davvero politica e non soltanto tenuta insieme dalle politiche monetarie della Bce.

mercoledì 26 febbraio 2020

LE DIFFICOLTÀ DI CONTE E LE DIFFICOLTÀ DI CHI VUOLE SOSTITUIRLO


di Massimo Colaiacomo


     L'arte della comunicazione è finita sul banco degli imputati come il responsabile principale del panico provocato dal coronavirus. Quell'arte, è il caso di ricordarlo, è stata maneggiata con troppa disinvoltura prima dall'opposizione, con Salvini che lamentava il ritardo nella chiusura dei voli dalla Cina o la mancanza di obbligatorietà della quarantena. Sulla scia di Salvini, si è subito inserito il governo con il presidente del Consiglio impegnato nell'ultimo week end con a drammatizzare al massimo il pericolo coronavirus con provvedimenti draconiani come l'isolamento di 60 mila persone e il fermo totale di ogni attività produttiva o ricreativa o ludica nei due focolai individuati per estenderla poi a tutto il Nord Italia.
     In questo bailamme il coronavirus è stato via via degradato a semplice pretesto per combattere l'ennesima battaglia politica tra il leader della Lega e il presidente del Consiglio, con l'aggiunta non irrilevante di Matteo Renzi a sostegno di Salvini. Quello che non è riuscito a fare con la prescrizione, votare contro il governo e, in successione, presentare una mozione di sfiducia al ministro Bonafede, Renzi pensa ora di riguadagnare cavalcando la palese inadeguatezza mostrata dal governo nella gestione dell'emergenza sanitaria.
     Salvini e Renzi appaiono ancora questa volta meno divisi sulla strategia di accerchiamento al presidente del Consiglio. Per la verità Conte ha fatto molto poco per non prestare il fianco alle critiche delle opposizioni. La gestione dell'emergenza coronavirus lo ha convinto ad accettare una sovraesposizione mediatica con la conseguenza, però, di mostrare in modo clamoroso le contraddizioni di un governo che ha drammatizzato l'allarme, prendendo misure micidiali per l'economia del Nord,  salvo dopo 48 ore fare marcia indietro e minimizzare i rischi sanitari dell'emergenza.
     Giuseppe Conte è chiamato ora a uno sforzo straordinario per arginare le conseguenze economiche di quanto è accaduto. Uno sforzo che presuppone, per riuscire, una maggioranza talmente coesa nel programma e nelle scelte da fare al punto da trasmettere al Paese e all'Europa l'immagine di un governo completamente diverso da quello fin qui visto. Si tratta di superare difficoltà non da poco, a cominciare dalla diffidenza suscitata nei governatori del Nord improvvidamente messi nel mirino dal presidente del Consiglio nel tentativo di scrollarsi da dosso ogni responsabilità. Si tratta, impresa ancora più complicata, di convincere l'Unione europea a concedere margini di flessibilità nei conti pubblici ben superiori a quelli pur previsti dalle attuali regole per situazioni di emergenza, come fu il sisma del 2016 e oggi il coronavirus.
     Conte sa di non disporre di una maggioranza simile. Sa che è passato il momento in cui avrebbe potuto dar vita a un gruppo di "responsabili" perché la corrosione accelerata della maggioranza ha reso oggi più plausibile uno scenario alternativo per il quale il voto dei "responsabili" avrebbe un peso politico maggiore e maggiore visibilità. Per questo motivo Forza Italia, e al suo interno Mara Carfagna, esclude ogni prospettiva di dialogo e di sostegno all'attuale esecutivo.
     Di altro segno, ma non meno impervie sono le difficoltà degli assalitori di Conte. È vero: ieri Salvini, dopo l'apripista Giorgetti, ha fatto balenare una disponibilità della Lega, meno vaga che in passato, per un governo di scopo a condizione "che ci sia una data per il voto". È di tutta evidenza che siamo in presenza di un atto politico vero, mascherato dietro un po' di tattica. Il governo di scopo per andare al voto nel 2021, è la richiesta di Salvini. Ma, si può obiettare, se il governo non avrà raggiunto lo scopo, si potrà andare ugualmente alle urne nel 2021? Lo scopo di un governo "senza Conte" è cambiato rispetto a un mese fa: non più la legge elettorale, il ridisegno dei collegi e poi tutti alle urne. No, lo scopo è oggi molto più impegnativo: fronteggiare una recessione già annunciata a fine 2019, ma resa oggi micidiale dopo l'emergenza coronavirus. Un governo di scopo potrebbe mai raddrizzare la barca e rimetterla sulla linea di galleggiamento in 12 mesi? Ecco la domanda, e il cruccio, che assale i sostenitori del governo di scopo. Dal quale sembra sottrarsi Giorgia Meloni, convinta che il logoramento di Salvini e di Forza Italia porterebbe nuovi consensi a Fratelli d'Italia. E lo stesso PD si dice indisponibile per ovvie ma non sempre plausibili ragioni. Perdere voti verso il M5s, che resterebbe fuori, significa per Zingaretti mandare in fumo quel poco fin qui fatto.
     Non sono poche le grane che devono affrontare i sostenitori del "fine Conti". Dopo l'emergenza coronavirus sembra farsi largo una prospettiva alla quale né Conte, né Salvini né Zingaretti avevano pensato: che la legislatura andrà fino alla scadenza naturale (Salvini si rassegni), ma che molto probabilmente non sarà Conte (si rassegni anche lui) a tagliare il traguardo.