martedì 27 maggio 2014

CENTRODESTRA RESTERÀ DIVISO CON BERLUSCONI IN CAMPO

di Massimo Colaiacomo

Il terremoto che ha scosso i 28 Paesi dell'Unione europea ha cambiato molto la  geografia del Parlamento di Strasburgo, ma soprattutto ha rivoluzionato in profondità gli equilibri politici all'interno dei singoli Paesi, non di tutti certo, ma sicuramente ha cambiato l'orizzonte politico in Italia.
Matteo Renzi è il trionfatore del voto. Beppe Grillo, sconfitto, è stato umiliato nelle sue ambizioni. Silvio Berlusconi ha recitato probabilmente l'ultimo spartito della sua lunga stagione. La sua nota a commento del voto, con gli accenti orgogliosi dello sconfitto che rilancia la scommessa, tradisce l'emozione di un grande protagonista che avverte la fine del lungo viale attraversato in tanti anni, ogni volta salutato da applausi scroscianti e successi sonanti. Ora non è più così e non sarà mai più così, come sa il grande combattente di una vita. Il suo appello all'unità dei moderati, la ragione per cui scese in politica nel 1994, è in fondo l'ammissione di non esserci mai riuscito. Il centrodestra non è mai stato un progetto culturale e politico, come Berlusconi sa bene. Ha funzionato come una grande zattera accogliente in cui alleati fra loro diversi, con obiettivi e programmi talora radicalmente diversi, sono saliti per raccogliere vittorie tanto significative sul piano numerico quanto ingestibili sul piano politico-programmatico.
A Berlusconi interessava vincere, arte in cui è stato maestro insuperabile, ma le condizioni in cui coglieva grandi successi si trasformavano in altrettanti impedimenti a governare l'Italia.
L'unità dei moderati è un obiettivo non per l'oggi e neppure per il domani. Berlusconi la auspica, e in questo è sincero, ma sa bene che non potrà più esserne l'architetto. La diaspora di questi anni ha generato partiti e partitini nel campo del centrodestra, e ciascuno di essi è anche un piccolo covo di risentimenti quando non di rancore verso il padre politico. I moderati, termine diventato insignificante nel lessico politico, sono oggi la somma di identità molto diverse e talora inconciliabili 
La sua disponibilità alle riforme è per metà sincera. Se prima del 25 maggio Forza Italia disponeva ancora di margini negoziali verso Matteo Renzi, dopo il voto l'adesione alle riforme è un atto obbligato. Forza Italia non ha alternative a meno di considerare un'alternativa il baratro elettorale.
Il centrodestra si presenta come il campo di Agramante. Colonnelli senza più truppe si rimpallano la responsabilità di una sconfitta inattesa nelle sue proporzioni. Ma è il generale in piena confusione. Fa annunciare dal suo utimo scudiero che è pronto a firmare alcuni referendum della LEga Nord, partito vittorioso alle europee ma fresco di alleanza con Marine Le Pen. Ecco: alleati di Salvini e Le Pen e federatore dei moderati. Parliamo soltanto di una delle contraddizioni, e neanche la più vistosa, che stanno incrinando irrimediabilmente l'immagine di Forza Italia e la residua credibilità del suo fondatore. È ovvio che Berlusconi non potrà riunificare alcunché. L'unica condizione per tentare una operazione simile e necessaria è impraticabile per Forza Italia. Si parla qui dell'uscita di scena di Silvio Berlusconi. Finché lui resisterà il centrodestra sarà diviso. Faranno bene a prenderne nota i moderati rimasti in Forza Italia come rari nantes in gurgite vasto.

 

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