mercoledì 13 giugno 2018

DA SALVINI UNA VITTORIA TATTICA, MA PER L'ITALIA IL RISCHIO DI UNA SCONFITTA STRATEGICA


di Massimo Colaiacomo

     Non c'è alcun dubbio sull'errore commesso dal governo francese di intervenire sulla vicenda della nave Acquarius con una tracotanza ingiustificata e offensiva per la dignità dell'Italia. L'errore di Macron e del suo portavoce ha in qualche modo velato gli errori del ministro dell'Interno italiano, Matteo Salvini, convinto di aver avvicinato se non addirittura impresso una svolta in chiave europeista alla vicenda delle immigrazioni. Salvini ha riferito al Senato e ha reso la pariglia ai francesi con parole di inusuale durezza. Alle quali non poteva che seguire l'annullamento del vertice bilaterale fra il ministro dell'Economia Giovanni Tria e il suo omologo France, Bruno Le Maire. Annullare un vertice è un atto grave sul piano diplomatico senza considerare i risvolti politici che questo fatto comporta.
     Salvini ha colto una vittoria significativa sul piano dell'immagine e, nel breve termine, sul piano politico. Il suo decisionismo è stato apprezzato senza riserve dagli alleati minori del centrodestra e ha sicuramente incontrato il favore di una larga maggioranza dell'opinione pubblica. Una vittoria tattica innegabile ma assai difficile da capitalizzare sul piano politico e in campo europeo. È vero, la Spagna del socialista Sanchez ha tolto per ora le castagne dal fuoco all'Italia, ma la notizia di altre navi in arrivo per le quali è difficile ripetere il rifiuto vincente sull'Acquarius è una conferma delle difficoltà enormi che si incontrano nel gestire il fenomeno migratorio in assenza di una strategia fondata sui flussi e sugli accordi bilaterali con i paesi rivieraschi del Mediterraneo.
     È in Europa, però, diversamente dai suoi calcoli, che Salvini si trova ad affrontare una partita da oggi sempre più in salita. L'asprezza dello scontro con la Francia, il rapporto teso con la Spagna, le tensioni suscitate nel governo tedesco, con la Csu schierata con Salvini e la Cdi più cauta, gli applausi ipocriti che arrivano all'Italia dai Paesi di Visegrad: sono tanti capitoli della matassa ingarbugliata da Salvini con un gesto unilaterale, manifestazione di energia politica ma anche di breve respiro. L'idea di convincere l'Europa a riformare gli accordi di Dublino sotto l'impeto di decisioni energiche è suggestiva a condizione che essa non riveli una natura ricattatoria nei confronti degli altri partner. Salvini è convinto della bontà della sua scelta, i governi europei. colti alla sprovvista, lo sono un po' meno e si preparano a negoziare con più durezza su un tema che esigeva invece un approccio persuasivo e più problematico.
     All'Italia non restano più altre carte da giocare in Europa, dopo la dimostrazione di forza con il rifiuto di accogliere la nave con 629 immigrati. Il merito che in molti riconoscono al ministro dell'Interno non è tanto di ave dato una soluzione alla questione, quanto di averla posta in termini perentori e in una chiave, come lo stesso Salvini ha detto in un'intervista al Corriere della Sera, addirittura europeista se è vero che ha riconosciuto l'impossibilità per l'Italia da sola di risolvere il problema. È una mezza verità, perché quando in un negoziato si pensa di mettere il proprio interlocutore spalle al muro le possibilità sono due: o cede il tuo interlocutore, oppure salta il tavolo. Allora, è vero che l'Italia, come hanno ribadito i ministri Tria e Savona, non ha alcuna intenzione di uscire dall'euro, riconosciuto indispensabile, ma è anche vero che comportamenti come quello di Salvini sono destinati a portare scompiglio e a creare le condizioni materiali per raggiungere quel risultato che si proclama di non voler perseguire. Il rischio non sarà più l'Italia che lascia l'Europa, ma quello opposto.
     

impazientimasenzafretta: IL DIRITTO A NON EMIGRARE VIENE PRIMA DEL DIRITTO ...

impazientimasenzafretta: IL DIRITTO A NON EMIGRARE VIENE PRIMA DEL DIRITTO ...: di Massimo Colaiacomo          I n occasione della giornata mondiale del migrante e del rifugiato, Papa Benedetto XVI inviò, il 12 ot...

IL DIRITTO A NON EMIGRARE VIENE PRIMA DEL DIRITTO A EMIGRARE (BENEDETTO XVI)

di Massimo Colaiacomo

   
     In occasione della giornata mondiale del migrante e del rifugiato, Papa Benedetto XVI inviò, il 12 ottobre 2012, un messaggio in cui affrontava, alla luce della Costituzione conciliare, la questione, da qualche decennio cruciale nella nostra epoca, della libertà di emigrare che andava integrata, se non addirittura preceduta, dalla libertà di non emigrare. Ecco che cosa scriveva Benedetto XVI: bene sarebbe, nell'infuocato dibattito politico di queste ore, non strumentalizzare le sue parole:

"Certo, ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti. Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998). Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria. Così, mentre vi sono migranti che raggiungono una buona posizione e vivono dignitosamente, con giusta integrazione nell’ambiente d’accoglienza, ve ne sono molti che vivono in condizioni di marginalità e, talvolta, di sfruttamento e di privazione dei fondamentali diritti umani, oppure che adottano comportamenti dannosi per la società in cui vivono. Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono".
     "A tale proposito, non possiamo dimenticare la questione dell’immigrazione irregolare, tema tanto più scottante nei casi in cui essa si configura come traffico e sfruttamento di persone, con maggior rischio per donne e bambini. Tali misfatti vanno decisamente condannati e puniti, mentre una gestione regolata dei flussi migratori, che non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere, all’inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e all’adozione di misure che dovrebbero scoraggiare nuovi ingressi, potrebbe almeno limitare per molti migranti i pericoli di cadere vittime dei citati traffici. Sono, infatti, quanto mai opportuni interventi organici e multilaterali per lo sviluppo dei Paesi di partenza, contromisure efficaci per debellare il traffico di persone, programmi organici dei flussi di ingresso legale, maggiore disponibilità a considerare i singoli casi che richiedono interventi di protezione umanitaria oltre che di asilo politico. Alle adeguate normative deve essere associata una paziente e costante opera di formazione della mentalità e delle coscienze. In tutto ciò è importante rafforzare e sviluppare i rapporti di intesa e di cooperazione tra realtà ecclesiali e istituzionali che sono a servizio dello sviluppo integrale della persona umana. Nella visione cristiana, l’impegno sociale e umanitario trae forza dalla fedeltà al Vangelo, con la consapevolezza che «chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo» (Gaudium et spes, 41).