venerdì 22 marzo 2019

ZINGARETTI SULLA RUOTA DI M5S, MA LA GRANDE SFIDA È A ROMA


di Massimo Colaiacomo

     Il caos in cui si trova l'amministrazione Cinquestelle in Campidoglio viene da lontano, anche se esso ci appare nella sua dimensione più drammatica solo oggi, dopo l'arresto del presidente dell'Assemblea capitolina, Marcello De Vito, e le dimissioni dell'assessore allo Sport, Daniele Frongia, coinvolto in una vicenda minore. Stiamo parlando, però, solo degli ultimi capitoli di una Via Crucis che va avanti, senza interruzioni apprezzabili, dal giorno dell'insediamento di Virginia Raggi. La girandola di assessori sostituiti, alcuni allontanati, altri in fuga (sono i casi di Massimo Colomban o dell'assessore all'urbanistica, Paolo Berdini) solo in parte poteva essere spiegata con l'inesperienza di amministratori nuovi e poco avvezzi alla grande ribalta mediatica della Capitale.
     L'inesperienza ha avuto senz'altro il suo peso, anche se è difficile considerarla il fattore decisivo del collasso verso cui si sta avviando la giunta pentastellata. Non si può considerare trascurabile, per esempio, il metodo un po' primitivo e sicuramente abborracciato per la selezione del personale politico. Se dopo le elezioni politiche del 2013 quello del M5s veniva considerato il carro vincente, è naturale che attorno ad esso si è radunata una folla di plauditores di provenienza incerta, talvolta pittoresca sul piano del costume (si pensi alle scie chimiche) talaltra più inquietante per certe opacità dei comportamenti. Pensare che un'umanità così ampia e assortita potesse essere selezionata con criteri adeguati facendo votare alcune centinaia di persone sulla piattaforma Rousseau era qualcosa di più di un'illusione: un abbaglio, oltre che una temeraria e colpevole sottovalutazione delle regole che presiedono alla lotta politica, mutate e mutevoli quanto si vuole, ma sempre generate da quell'impasto in cui si incontrano razionalità e malizia tattica, lucidità e visione strategica. Qualità, si è visto, drammaticamente assenti nei dirigenti del M5s, a cominciare dal leader politico Luigi Di Maio.
     Era una nebulosa il Movimento conosciuto appena cinque anni fa. Una legislatura non è stata sufficiente per dare una qualche concretezza a programmi politici solo in parte ambizioni e più sicuramente irrealistici. È stato così sul piano locale e sul piano nazionale. Con un'eccezione che i dirigenti grillini non hanno mai colto: considerare l'amministrazione di Roma alla stregua di una vicenda locale e non invece come il biglietto da visita sul piano nazionale e internazionale. Inesperti e incapaci quanto si vuole, a Roma non sono consentiti errori madornali perché il prezzo da pagare è sul piano nazionale. È sufficiente ripercorrere gli ultimi 20 anni di amministrazione per rendersi conto del peso che la "prova" del governo capitolino ha avuto sulla sorte elettorale dei partiti e dei sindaci: Rutelli e Veltroni, buoni amministratori, hanno lasciato Roma per diventare candidati a palazzo Chigi di coalizioni di centrosinistra. Marino e Alemanno, in misura e per ragioni molto diverse, sono stati "bruciati" dall'esperienza capitolina.
     I Cinquestelle si trovano oggi davanti allo stesso bivio. Ne sa qualcosa Zingaretti, navigatore esperto delle acque politiche romane, mai tentato dall'ascesa in Campidoglio ben sapendo a quali rischi andava incontro per un guadagno assai incerto. Il segretario del PD vede perciò nell'affanno della giunta capitolina la chiave di volta per dare concretezza e vigore alla sua campagna elettorale. Si tratta, come sempre in politica, di mettere sulla bilancia le convenienze e i rischi di una scelta. Di Maio non può permettersi di perdere Roma alla vigilia delle elezioni europee. Il tonfo elettorale previsto già da qualche sondaggio potrebbe assumere proporzioni tali da spazzare via il M5s con la stessa rapidità con cui si dissolse l'Uomo Qualunque. Quale utile elettorale potrebbe venire al PD da un collasso della giunta Raggi? È un calcolo difficile e complicato da fare. Il vento dei consensi gonfia le vele di Matteo Salvini e un centrodestra arrembante, saldamente in pugno alla Lega, potrebbe avere partita facile per la conquista del Campidoglio. Per il PD sarebbe uno smacco sulla via della lenta e incerta ripresa dei consensi. Per quanto paradossale, "congelare" il caos amministrativo in Campidoglio è la prospettiva meno onerosa e forse più redditizia per il PD in vista delle europee. In fondo, la periclitante stagione grillina a Roma può essere il miglior viatico per rinsanguare le fortune elettorali del PD e portare consensi crescenti a Salvini. A bruciarsi le mani è il solo Luigi Di Maio e il manipolo di sognatori che lo circonda