domenica 10 maggio 2015

NEL CENTRODESTRA APRÈS BERLUSCONI LE DÉLUGE


di Massimo Colaiacomo


     Lo spirito del '94 invocato da molti dirigenti spompati e senza più idee (ammesso che ne abbiano davvero mai avute) è il segnale più evidente del disarmo politico di Forza Italia. Quello culturale era già avvenuto alla fine degli anni '90, quando Berlusconi decise di sbarazzarsi dei professori (Colletti, Urbani, Melograni, ) ininfluenti in un partito che aveva fatto delle tecniche di comunicazione il veicolo privilegiato per la conquista dei consensi. Berlusconi ha dominato la scena politica nel modo che più gli era congeniale e meglio si addiceva alla sua natura: grande big mouth, interprete straordinario di se stesso, ha incartato i sogni degli italiani in una confezione accattivante. A ogni tornata elettorale, cambiava l'incarto e i sogni, irrealizzati ma realizzabili, venivano riproposti in un'altra luce.
     Colpa, ha sempre detto Berlusconi, di alleati litigiosi che gli impedivano di realizzare i suoi programmi straordinari che avrebbero dato all'Italia un futuro radioso. Colpa, ripeteva, di una legge elettorale che impediva a Forza Italia di avere quel 51% di consensi grazie ai quali avrebbero potuto governare da sola senza più impedimenti. Difficile che gli elettori rimasti fedeli al loro guru se ne siano ricordati ieri, sentendolo a Genova, quando invocava l'unità di tutti i moderati per sconfiggere la sinistra e tornare a vincere. Berlusconi, infatti, con una delle sue capriole, ha invitato forze le più eterogenee a mettersi tutti insieme, in un cartello elettorale, per battere Renzi. Salvo, ma questo non poteva dirlo, ritrovarsi all'indomani nella condizione paralizzante in cui i suoi governi si sono trovati per oltre 10 anni.
     Si è perso il numero degli espulsi, prima dalla Casa delle Libertà e, poi, da Forza Italia nel corso di questi venti anni. È probabile che dopo le regionali l'elenco dei dirigenti rimasti risulti molto più breve dell'elenco degli espulsi. Anche se la questione di fondo riguarda gli elettori. Sono oltre 9 milioni quelli che hanno abbandonato Forza Italia negli ultimi cinque anni. Viene da chiedersi se anche per gli elettori non sia più corretto pensare a una loro "espulsione" da un partito monarchico e monocorde, privo di idee e di programmi e ridotto a una corte di giullari, nani e ballerine piuttosto che di un abbandono spontaneo.
     L'idea berlusconiana di costruire il Grand Old Party in versione italiana, mettendo assieme le membra sparse del centrodestra, va nella direzione esattamente opposta a quella, autoritaria ma vincente, di Matteo Renzi. Il premier, infatti, vuole costruire il Partito della Nazione o quel che sia, per scissioni e divisioni successive: lasciando da parte dirigenti vecchi e consumati, ma nello stesso tempo allargando, grazie alla leva del governo, la base del consenso. Renzi non pensa di imbarcare Vendola o i grillini o quel che nascerà alla sua sinistra. No, egli pensa piuttosto a irrobustire il programma del PD e sconfiggere per questa via i diversi competitor, a sinistra o al centro. Berlusconi,  svuotato e privo di ogni reale interesse per la politica, non ha la forza, e soprattutto il tempo, per un lavoro culturale e politico di non breve durata. Né ci sono energie dentro Forza Italia per un obiettivo tanto ambizioso.
     Guardare a Londra e a Parigi non ha acceso neppure una lampada nella mente degli strateghi improvvisati di Forza Italia. Nessuno di loro che rifletta seriamente, senza gli strilli d'agenzia,  sulla scelta di Cameron e Sarkozy di condurre campagne elettorali puntando a sconfiggere i concorrenti alla loro destra che era il solo modo intelligente per recuperare i voti di quel vasto elettorato moderato e centrista, ancora forte e consistente, cresciuto negli anni all'insegna del lai-and-order.
     È molto probabile che all'indomani del voto regionale del 31 maggio, e dopo le consuete rivendicazioni di mezze vittorie o di mezze sconfitte evitate, nel centrodestra non accada nulla. Truppe di parlamentari senza arte né parte si presteranno al gioco del Partito Repubblicano americano senza crederci neanche un filo. E la commedia si trascinerà stancamente, in attesa del diluvio inevitabile del dopo-Berlusconi.  
    

sabato 9 maggio 2015

IL CENTRODESTRA SENZA IDEE È LA VERA MINACCIA PER LA DEMOCRAZIA

Silvio Berlusconi:
     
     "Solo nell'unità di tutti i moderati del centrodestra e delle forze in cui si è frammentato, si può arrivare a superare la sinistra". 


Alessandro Cattaneo:

     "Ho ascoltato con attenzione l'intervento del Presidente Berlusconi a Genova e non posso che essere d'accordo con lui sulla necessità di costruire una nuova casa del centro-destra per tutti gli italiani conservatori, moderati e liberali. In questi giorni di campagna elettorale sto girando molto il Paese per sostenere tanti nostri giovani candidati e, parlando con le persone, da nord a sud si percepisce la voglia di un movimento politico nuovo, con programmi nuovi e persone nuove. Così come si percepisce il desiderio di un centro-destra unito e competitivo in grado di portare nuovamente al governo i moderati e i conservatori come ha fatto Cameron in Gran Bretagna. Sono molto d'accordo con il Presidente Berlusconi anche quando dice come ha fatto oggi che dobbiamo dire basta alla categoria dei professionisti della politica, che purtroppo ancora affolla anche il campo del centro-destra. Il nuovo partito dei moderati italiani dovrà forse fare a meno di tanti professionisti della politica e riempirsi di giovani, professionisti, persone della società civile".


di Massimo Colaiacomo

     Se qualcuno cerca prove inconfutabili del vuoto pneumatico in cui il centrodestra sta annegando può trovarle agevolmente nelle due drammatiche dichiarazioni di Silvio Berlusconi e di Alessandro Cattaneo. Quest'ultimo dovrebbe essere, e, a tutti gli effetti è, un protagonista delle nuove leve di Forza Italia che prenderanno il posto dei senatori. Tralascio la facile ironia: che cosa cambia, infatti, se vecchi laudatores vengono rimpiazzati da più giovani laudatores del Capo Supremo? Il punto non è questo. Si tratta, invece, dello spazio fisico (11 righe) che il giovane Cattaneo occupa per smuovere l'aria senza peraltro riuscirvi. Undici righe di nulla, di parole senza senso, di prospettive politiche campate in aria, sono la prova drammatica dell'assenza di classe politica di Forza Italia e del centrodestra in genere. "Unire tutti i moderati" è un'affermazione che un politico dotato di un comprendonio minimo dovrebbe impedirsi di dire oppure, dicendola, dovrebbe infliggersi una punizione corporale tanto è banale e stupida.
     Forza Italia ha saputo interpretare, per buoni quindici anni, un sogno in cui si è riconosciuta una larga maggioranza degli italiani. Berlusconi ha saputo indicare un orizzonte e collocarvi le attese e le ansie della "gente" (non aveva e non ha ancora scoperto che "persone" farà meno marketing ma è più rispettoso), fossero anche le più distorte e illusorie, dandogli una prospettiva politica, fragile quanto si vuole, ma pur sempre riconoscibile per la sua impronta. Quei sogni sono svaniti nelle grigie giornate del novembre 2011. Sono crollati sotto i colpi di maglio di una realtà che ha fatto irruzione nelle nuvole rosa in cui l'Italia si cullava. Ora, se si è trattato di un golpe, come sostiene il Gip Renato Brunetta, o di una resa dei conti in cui la realtà ha preso le sue rivincite, è questione del tutto ininfluente. Per dire che se di golpe si è trattato, quali sono gli imputati da chiamare alla sbarra? In quale tribunale si deve celebrare il processo? Chi sostiene l'accusa e chi la difesa? Parodiare la politica, come fa Brunetta, significa tirare calci agli stinchi della politica.
     Per rimanere a considerazioni più attuali, in Italia la questione vera che dovrebbero porsi le forze liberali e riformiste (?) di destra riguarda la loro riconoscibilità presso un elettorato ampiamente disgustato dallo spettacolo indecoroso di questi anni. I "moderati" non devono "unirsi" ma dovrebbero, come Cameron ha fatto a Londra e Sarkozy a Parigi, "dividersi" da ogni radicalismo e da ogni antieuropeismo. Non devono illudere, come abilmente riesce a Renzi, gli italiani su un futuro taglio delle tasse. Devono, invece, porre in termini radicalmente nuovi la necessità di tagliare la spesa pubblica evitando la distinzione populistica fra spesa "improduttiva" e no. La spesa pubblica è tutta produttiva per la semplice ragione che pagando stipendi a oltre 3.150.000 dipendenti pubblici ha creato una platea di 3.150.000 consumatori. Tagliare la spesa pubblica significa ridurre l'intermediazione politica nella vita quotidiana dei cittadini. Per dirla in prosa: abolire il Sistema sanitario nazionale e ripristinare le Casse mutue; abolire o privatizzare tutte le aziende pubbliche locali erogatrici di servi idi pubblica utilità; incentivare imprese private e Terzo settore per consentirgli di occupare gli spazi da cui si ritira la mano pubblica.
     Il giovane Alessandro Cattaneo se la prende con i professionisti della politica per la semplice ragione che lui, giovane professionista della politica, è rimasto senza lavoro dopo appena cinque anni di sindacatura a Pavia. Se non fosse una persona tutto sommato simpatica nel suo childish approach sarebbe di una ridicolaggine imbarazzante. Qualcuno spieghi anche al giovane Cattaneo che Cameron e Sarkozy hanno vinto sbaragliando soprattutto gli avversari alla loro destra, hanno chiuso in un recinto di irrilevanza sia Nigel Farage e, un po' più ampio magari, Marine Le Pen.
     In Italia non accadrà nulla di quanto abbiamo visto a Londra e a Parigi. Un po' perché mancano Le Pen e Farage, ma molto di più perché non si vede né un Sarkozy né un Cameron all'orizzonte. Il leader conservatore ha tagliato selvaggiamente la spesa pubblica dal 2011 in avanti e la Banca d'Inghilterra ha pompato miliardi di sterline. A Londra si perde e si trova lavoro in 24 ore, i "mansionari" cari ai sindacati italiani, in Inghilterra non li hanno neppure nei gabinetti degli uffici pubblici. Così vanno le cose in Europa, caro Brunetta, e l'austerità cara alla Merkel per le finanze pubbliche, è stata applicata anche a Londra, sia pure in una versione tutta inglese. Questo fanno i conservatori e i liberali, in tutto il mondo. O, meglio, in quelle parti del mondo dove ci sono i liberali e i conservatori. Per dirsi conservatori e liberali, però, sarà bene che i giovani Cattaneo aprano qualche libro e si informino come nei secoli si è evoluto il pensiero liberale e conservatore. Scoprirebbe che la grande politica è stata fatta soltanto da grandi professionisti della politica e non da Cattaneo. A meno che non si chiamasse Carlo. Ma quella è un'altra storia

venerdì 8 maggio 2015

DA LE PEN A FARAGE, IL POPULISMO NON MORDE PIÙ (SALVINI AVVISATO)

di Massimo Colaiacomo


     La sconfitta di Nigel Farage ha sorpreso la provincia italiana, né più né meno come ieri, sia pure diversa per dimensioni, la sconfitta di Marine Le Pen. Stessa sorpresa, si può scommettere, le forze politiche mostreranno quando sarà il turno della sconfitta di Alternative für Deutschland ad opera di Angela Merkel. La marea montante dell'antieuropeismo tanto temuta dagli osservatori è dunque già finita? Oppure è in ripiegamento per insinuarsi all'interno dei partiti tradizionali? Per dire, David Cameron ha promesso il referendum sull'Europa da celebrarsi entro il 2017, un impegno per cui alcuni osservatori superficiali lo hanno iscritto d'obbligo tra le file degli antieruopeisti. Una valutazione quanto meno affrettata. La mossa di Cameron è apparsa spregiudicata, a un occhio velato di moralismo europeista, mentre è stata di una duplice efficacia, sul piano elettorale inglese e sul piano europeo. Sul piano interno ha neutralizzato la strategia arrembante di Farage, privandolo dell'esclusiva che tanta fortuna gli aveva portato nelle elezioni locali. Sul piano europeo, Cameron ha caricato un'arma da mettere sul tavolo di nuovi futuri negoziati (gli inglesi, si sa, dai tempi di Margareth Thatcher insistono nel volere i loro soldi indietro).
     È stato davvero brillante, Cameron. Almeno quanto lo è stato Sarkozy. Due strategie di contenimento del radicalismo di destra, individuato come l'avversario da combattere e dalla cui sconfitta hanno fatto nascere le rispettive vittorie. Una strategia diametralmente opposta a quella di un defunto centrodestra italiano, in eterna attesa di un necroforo di rango capace di tumularlo. Berlusconi vorrebbe, bontà sua, mettere assieme i moderati che comprendono il radicalismo da tre palle un soldo di Salvini e un diafano Ncd. Si tratta, ove l'operazione dovesse riuscire, di un'accozzaglia indigesta, che va nella direzione opposta a quella di Matteo Renzi impegnato a costruire un PD senza la zavorra dei birignao e delle distinzioni di minoranze variopinte. Si può obiettare che Renzi ha scelto procedure spicce e tali da far arricciare il naso a un'occhiata anche superficiale. Vero, anzi, verissimo. L'Italicum è agli antipodi del sistema elettorale inglese. A Londra, gli inglesi si sono scelti accuratamente ogni singolo deputato nei collegi dove la battaglia è stata spietata. Al punto che Nigel Farage è stato sconfitto dal candidato conservatore. Poi, a voler essere proprio pignoli, Ed Milliband e Nigel Farage, si sono dimessi con la velocità di un fulmine (qualcuno immagina Berlusconi dimissionario dopo una sconfitta?).
     Gli inglesi non hanno eletto un premier, come prevede l'Italicum, ma hanno eletto un Parlamento consegnando una maggioranza nelle mani di David Cameron. Ogni deputato di quella maggioranza dovrà rispondere agli elettori del collegio in cui ha vinto ogni volta spiegando perché vota provvedimenti del governo poco utili se non dannosi a quel territorio. È il senso vero e profondo di un sistema che voglia dirsi democratico nella scelta della rappresentanza parlamentare e nell'assunzione di una responsabilità nazionale in capo a ogni eletto.

     Chi potrà mai spiegare a Berlusconi che nessuna imitazione del Grand Old Party, per quanto esteticamente perfetta, si risolverà in una pagliacciata senza avere prima inoculato il virus della democrazia? Chi gli farà capire che Salvini non è un alleato ma il primo avversario da sconfiggere per tentare di costruire un grande partito conservatore e liberale? Chi gli spiegherà che per vincere le elezioni non serve "unire" ma dividere i moderati dai radicali e dai populisti e sfidarli con proposte e programmi seri? La risposta in tutti questi casi è semplice: nessuno. Chi ha cercato di farlo, come Raffaele Fitto, lo ha fatto in modo pasticciato e la conclusione è stata di fare le valigie e navigare altrove. Per il resto, ci sarà una fiera delle vanità dopo il voto regionale.