mercoledì 10 aprile 2013

SARA' IL SUCCESSORE DI NAPOLITANO A STABILIRE LA DURATA DELLA LEGISLATURA (E DELL'EVENTUALE GOVERNO BERSANI)


di Massimo Colaiacomo

Mai come questa volta le chiavi della legislatura appena iniziata saranno tutte e soltanto nelle mani del futuro presidente della Repubblica. La duplice partita su governo e Quirinale è diventata un rompicapo per le principali forze politiche e il tentativo di affrontarle separatamente - prima trovare il successore di Giorgio Napolitano e, dopo, individuare la maggioranza per il governo - mai come in queste ore appare tanto velleitario. Vediamo di spiegare meglio come si dipanano le strategie dei due protagonisti principali, cioè Bersani e Berlusconi, vale a dire il non-vincitore e il non-sconfitto delle elezioni.
Berlusconi, si sa, chiede che la casella del Colle sia occupata da una figura istituzionale non ostile al centrodestra. In soldoni, non ostile a Berlusconi medesimo e neppure lontanamente sospettabile di offrire una sponda al circo mediatico-giudiziario da cui il Cav si sente accerchiato. I nomi sono conseguenza delle cose e si spreca inutilmente tempo a sgranare il rosario dei soliti noti di cui sono piene le pagine dei giornali.  Più da vicino, proviamo a osservare quali sono le conseguenze di una scelta simile. L’elezione di un presidente che sia non solo garante della Costituzione ma che si riveli nello stesso tempo tutore degli equilibri politico-istituzionali inciderebbe non poco sul percorso successivo per la formazione del governo. Nel senso che Bersani si vedrebbe riconosciuto da Berlusconi il diritto a tentare la formazione di un esecutivo, sia pure di minoranza, in grado di navigare per un certo tratto.
E’ lo scenario più rassicurante per Berlusconi ma anche quello più insidioso per Bersani. Un governicchio sostenuto da un mare di astensioni sarebbe inevitabilmente esposto a pressioni e ricatti continui. Insomma, un vascello fragile nel mare tempestoso di un Parlamento che i grillini vorranno sempre in subbuglio. D’altra parte, l’alternativa a un presidente della Repubblica scelto con il metodo delle larghe intese è, al momento, quella di un presidente eletto dopo il terzo scrutinio, quando è sufficiente la maggioranza semplice dei 1057 grandi elettori, e dunque un presidente che per questa ragione verrebbe percepito come di parte e si troverebbe la strada tutta in salita nello svolgimento delle sue funzioni. Sempre sospettato di anti-berlusconismo e di favorire il centro-sinistra, una figura simile esporrebbe ai venti della crisi l’ultima istituzione conservata intatta nella sua credibilità.
Un presidente eletto a maggioranza metterebbe in fibrillazione il centro-destra e il suo leader ma, al contrario, accorderebbe a Bersani un vantaggio tattico non piccolo. Il leader Pd, insediato a Palazzo Chigi con un governo di minoranza, potrebbe scegliere il tempo giusto per andare alle urne, anche a luglio, ma in tal caso sarebbe lui il candidato naturale poiché da presidente dimissionario sarebbe difficile per chiunque, e quindi anche per Renzi, invocare le primarie.
Per realizzarsi, un tale scenario, però, deve scontare alcuni passaggi che non sono affatto scontati. Il voto dei grillini, per esempio. Perché possa decollare, il governo di minoranza a guida Bersani deve poter contare sulla spaccatura del gruppo dei 5 stelle in Senato, evento, al momento, non facile da prevedere. La verità è che Bersani si trova stretto fra due fronti: uno esterno al Pd, il fronte grillino, che no dà segni di cedimento se è vero che Grillo, proprio per evitare lo sfaldamento del gruppo a Palazzo Madama, sta lavorando a una candidatura autonoma per il Quirinale così da costringere i suoi a convergere su un solo nome. L’altro fronte caldo per Bersani è tutto interno al partito. Matteo Renzi sta giocando la partita del Quirinale con abilità e, forse, con qualche eccesso di tatticismo. Che cosa fa Renzi? Appena si avvede di una qualche psosibile intesa sul governo fra Bersani e Berlusconi, lancia per il Quirinale una candidatura divisiva, come possono essere quelle di Prodi o Boldrini, per raggelare il Cav. Come vede allontanarsi ogni ipotesi di accordo sulla maggioranza di governo, Renzi cambia cavallo per il Quirinale e rilancia una candidatura super partes che sia gradita anche al Cavaliere.
Quella del sindaco di Firenze è una strategia che punta a scuotere il suo partito per accentuare l’isolamento di Bersani dalla maggioranza che lo sostiene. Gioco fin qui riuscito, ma carico di azzardo a mano a mano che si avvicina il tempo della scelta. Renzi punta a indebolire la strategia di Bersani nella formazione del governo, a impedirgli di saldare un qualche accordo con Berlusconi e a rendergli impossibile qualsiasi sostegno occulto dei grillini. E’ un’anatra zoppa, in sostanza, il premier che Renzi è disposto a far arrivare a Palazzo Chigi. Come potranno combinarsi le tessere di questo puzzle è ancora prematuro per capirlo. Certo è che né Bersani né Berlusconi sono in condizione di potersi dare rassicurazioni reciproche sul Quirinale e su Palazzo Chigi. La variabile Renzi è in grado di fare la differenza in qualsiasi momento. 

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