lunedì 22 aprile 2013

DA NAPOLITANO LEZIONE DI POLITICA E DI PASSIONE CIVILE, CHI PUÒ GUADAGNARCI È IL PD (SE AVRÀ CORAGGIO)di Massimo

di Massimo Colaiacomo

     Se ai parlamentari e alla ruling class del Pd è rimasto un briciolo di orgoglio e di intelligenza politica da stasera devono tirare fuori l'uno e l'altra. È usarli senza risparmio. Il discorso di insediamento di Giorgio Napolitano in Parlamento è stata una lectio magistralis di intelligenza e saggezza politica. Straordinaria per l'impasto di passione civile e di fresca umanità. Qualità per avere le quali non basterebbe ave cento o centodieci anni. Napolitano ha confermato la giustezza dell'aforisma di Benedetto Croce sul primo dovere dei giovani: quello di invecchiare e, si può aggiungere oggi, invecchiare ispirandosi a Napolitano.
     Chiuso il turibolo, meritatissimo, andiamo alla sostanza del discorso del rieletto. Napolitano ha indossato la toga del pubblico ministero contro il sistema dei partiti, denunciandone con parole implacabili le manchevolezze, le viltà, l'attaccamento alle piccole convenienze, la miopia e la supponenza. Si è rivolto a tutto il Parlamento, ma per farsi ascoltare e capire soprattutto dal settore dove sedevano i parlamentari Pd, non si sa se più rassicurati o più mortificati nel sentire quella requisitoria condita con parole nobili che cadevano sui loro scranni con la forza di un fuetto.
     Il muro di pregiudiziali alzato da Bersani a ogni forma di collaborazione con il PdL di Berlusconi si è sgretolato e venuto giù rovinosamente. È da quel paesaggio di macerie che deve nascere un governo. Napolitano farà consultazioni a velocità supersonica e già martedì sera, o mercoledì mattina, affiderà l'incarico per un governo che vuole, e sarà politico. Pochi minuti dopo il suo discorso, sono scattati sull'attenti Franceschini, Finocchiaro, Bindi. Tutti hanno risposto all'unisono: eccoci, siamo pronti. Una risposta impensabile fino a sabato mattina, divenuta perfino ovvia dopo il discorso di Napolitano.
     In casi simili si spolvera tutto con un po' di retorica dicendo che se c'è un vincitore è il Paese. Sarà vero, si spera, in futuro. Nel presene c'è un solo vincitore: Silvio Berlusconi. Il Cavaliere ha inseguito per vent'anni la propria legittimazione politica, il diritto a essere riconosciuto e accettato come un protagonista della vita pubblica e non come un nemico se non da abbattere quanto meno da isolare e tenere in quarantena.
     Bene: Berlusconi si è visto riconosciuto nel ruolo che 9 milioni di elettori gli hanno assegnato e si è visto riconoscere questo diritto nella cornice solenne del Parlamento in seduta congiunta da un grande, vecchio presidente della Repubblica. È come se Napolitano, diciannove anni dopo, avesse scelto di risalire i gradini fra gli scranni della Camera per restituire a Berlusconi la stretta di mano che nel '94 il Cavaliere gli diede per complimentarsi del discorso dell'allora capogruppo del PDS contro il suo governo.
     Il governo nascerà e sarà politico al massimo grado. È interesse dell'Italia, ma è interesse soprattutto del Pd da oggi impegnato conquistato al verbo renziano che vuole la sconfitta di Berlusconi sul campo della battaglia politica e non per via giudiziaria. Napolitano ha detto basta con i pregiudizi, basta con i luoghi comuni e le demonizzazioni dell'avversario e ha invitato a costruire convergenze fra tutte le forze politiche nell'interesse esclusivo dell'Italia. Parole sagge grazie alle quali Massimo D'Alema si sentirà meno solo dopo averle pronunciate nella Direzione nazionale del Pd, all'inizio di marzo. Parole che caddero allora nel gelo della platea senza neanche uno solo degli applausi calorosi e scroscianti riservati dal Parlamento a Napolitano.
     Il Pd subirà verosimilmente una piccola scissione. Mai come in questo caso, però, si può dire ex malo bonum. Il Pd deve recuperare vent'anni di errori, gli ex comunisti devono liberarsi di tutte le maschere indossate in questi decenni e finalmente guardarsi allo specchio e contare le rughe, le cicatrici e i solchi scavati in oltre 90 anni di storia comunista. Non devono celebrare la loro Epinay o la loro Bad-Godsberg, perché Mitterrand nel 1971 e Brandt nel 1959 furono protagonisti di svolge epocali che guadagnarono definitivamente al socialismo e alla pratica democratica forze profondamente radicate nella cultura marxista. Il Pd ha Matteo Renzi e la sua ambizione di costruire un frullatore di culture tenute insieme dal cattolicesimo democratico ma anche liberale.
     Per raggiungere questo traguardo, però, Renzi deve guida le truppe in rotta del Pd nella loro traversata del deserto. Convincerle a guardare a Berlusconi come all'avversario da battere e non il nemico da abbattere. E non è questione che si risolva con un battito di ciglia.

Nessun commento:

Posta un commento