domenica 7 aprile 2013

BERLUSCONI-BERSANI VERSO UN ACCORDO DI RECIPROCA SOPRAVVIVENZA

L'INTESA NON FRENERA' IL DECLINO DELL'ITALIA E DELLA REPUBBLICA
ACCORDO PD-PDL PER BLOCCARE MATTEO RENZI, UNICA ALTERNATIVA.
IL SINDACO DI FIRENZE HA UN PROGETTO DI GRANDE RIFORMA COME LO AVEVA BETTINO CRAXI, GLI ALTRI NON HANNO NIENTE


di Massimo Colaiacomo

     So bene che non è mai elegante l'autocitazione. Ma se è vero che si va concretizzando quanto avevo ipotizzato come ragionevole in un post del 26 marzo ("Bersani-Cav divisi su tutto ma uniti dallo stesso nemico: Renzi), proverò allora a inoltrarmi su quello stesso sentiero per vedere i possibili traguardi di un'intesa PdL-Pd oggi meno remota, se non più vicina, di qualche giorno fa. Le cronache giornalistiche con il loro corteo di dichiarazioni e congetture sono note e non ci interessa né ripeterle né riassumerle in questa sede. Più interessante è capire perché Bersani e Berlusconi si acconciano a fare qualcosa fino a ieri rifiutata da Bersani e da Berlusconi considerata, invece, come il massimo obiettivo per le proprie sorti personali. Berlusconi deve salvarsi dai processi, e per questa ragione è pronto da sempre a sostenere un governo Bersani, a condizione di avere un presidente "amico" al Quirinale; Bersani deve salvarsi dai suoi pronti alla resa dei conti con il coltello fra i denti.
     B&B sono due uomini in fuga, da pericoli, è vero, molto diversi ma non per questo sono meno interessati a darsi reciproco sostegno, almeno per un certo tempo. La loro salvezza, per quanto precaria resti la loro sorte, passa dunque attraverso una tregua e un patto di non belligeranza che deve necessariamente avere nell'elezione del Capo dello Stato una specie di accordo notarile con condizioni vincolanti per tutti i contraenti. L'immagine che un simile scenario proietta nell'immaginario collettivo è quella di un ceto politico vecchio e logoro, alla disperata ricerca di qualche motivo per autoconservarsi, evitando così un nuovo giudizio elettorale. Del resto sono obiettivi che vedono Berlusconi e Bersani più vicini di quanto non dicano le schermaglie quotidiane.
     Su quale accordo programmatico potrà basarsi un'intesa fra Bersani e il Cav? Nulla di più, nulla di meno di quanto ha mostrato di poter fare il vituperato governo tecnico di Mario Monti. I proclami berlusconiani con le 8 proposte restitutive agli italiani di ogni bene (dall'IMU sulla prima casa all'esenzione previdenziale per chi assume a tempo indeterminato) sono destinate a rimanere lettera morta, almeno fin quando il Cavaliere non avrà indicato dove e come recuperare dal versante delle uscite i maggiori aggravi di spesa. Qualcuno ha mai sentito gli aspiranti leader, durante la campagna elettorale o subito dopo, alludere a capitoli di spesa pubblica da tagliare? Il solo Matteo Renzi, sconfitto alle primarie, ha fatto un preciso riferimento a tagli di spesa per circa 20 miliardi alla voce Beni e Servizi: una somma, disse Renzi, necessaria per restituire 100-200 euro a ogni mensili ai lavoratore con reddito netto inferiore ai 2000 euro.
     Il fatto davvero nuovo, destinato a pesare sul programma di Bersani o di chiunque altro riuscirà a formare il governo, è che nessuno potrà più usare la leva fiscale per aumentare le tasse o le imposte. L'Italia è vigilata speciale in Europa e qualsiasi manovra fiscale, soprattutto se con finalità redistributive, non potrà che nascere da preventivi, corrispondenti e verificabili tagli di spesa. Ogni altra scorciatoia è vietata, non foss'altro dal buon senso.
     Nella grande ondata di populismo subita passivamente da forze politiche decisamente autodelegittimate, il programma dell'esecutivo procederà a nuovi tagli dei finanziamenti alla politica continuando così ad alimentare nel Paese la pericolosa illusione che limati i denti a quei politici famelici  l'Italia potrà imboccare con decisione la via della ripresa. Un'illusione e una menzogna che partiti pavidi accettano di raccontare al Paese pensando così di arginare il populismo becero e fascista di Beppe Grillo. Quello a cui assistiamo in questi giorni e settimane è lo spettacolo avvilente di un ceto politico decerebrato, privato di ogni visione dei problemi generali dell'Italia e preoccupato unicamente di conservare, attraverso capriole etiche, gli ultimi brandelli di potere.
     Nessuna riforma costituzionale, urgente più di qualsiasi altra, vedrà la luce nei prossimi mesi. La sola legge elettorale potrebbe essere rivista, essendo l'unico strumento da tutti i partiti riconosciuto valido per la distribuzione del potere. Matteo Renzi è stato il solo a richiamare espressamente la necessità di una riforma presidenzialista e un sistema politico imperniato su due grandi partiti. Dagli altri partiti nessun cenno. Né i giornali hanno speso più di due righe per spiegare le implicazioni politiche della scelta renziana.
     Se si lascia lo scenario e si torna al presente, si può ragionevolmente accettare l'ipotesi di un accordo sul Quirinale fondata su un personaggio di garanzia (i nomi sono quelli soliti: Marini, D'Alema, Amato). Sono personaggi come questi i garanti migliori che un accordo sarà poi trovato sul piano del governo. E qui i calcoli delle convenienze personali si fanno più sfacciati che non per la conquista del Colle. Che interesse può mai avere Berlusconi a dare il via libera a un esecutivo di legislatura, con il rischio che questioni come la sua eleggibilità o il conflitto di interessi possano farsi strada nelle iniziative del Parlamento? Che interesse può mai avere Bersani a guidare un esecutivo del presidente la cui agenda sarebbe perciò stesso concordata con il presidente della Repubblica e per una durata temporale più o meno breve? Vero è che Bersani non può neppure aspirare a un governo di lunga durata la cui esistenza sarebbe rimessa alla disponibilità del PdL. E quella disponibilità, di riffa o di raffa, rimane condizionata agli sviluppi delle vicende giudiziarie del Cavaliere.
      Come si vede, a mano a mano che ci si inoltra sul terreno delle possibili opzioni, emerge con forza il profilo del governo di scopo come il punto di equilibrio fra convenienze ed esigenze non facilmente componibili. Prendere un tempo minimo (un anno, forse 18 mesi o due anni) per placare l'ondata populistica dei grillini; aggiustare quanto basta la legge elettorale, per aggirare il rischio di una nuova, futura paralisi parlamentare; tenere ferma la barra del risanamento della finanza pubblica (per la quale, a questo punto, un governo a Roma diventa quasi superfluo dopo l'inserimento del pilota automatico da parte della Bce) sono i punti minimi del futuro esecutivo per guidare il quale si cercherà una figura di compromesso, pronta a farsi scaricare dai partiti non appena i sondaggi dovessero segnalare un'inversione di tendenza dei M5s. 
     E' attorno a un simile programma di sopravvivenza dell'attuale sistema politico, come è ragionevole ipotizzare, che Berlusconi e Bersani troveranno un qualche accordicchio. Nessuna riforma di sistema vedrà mai la luce. E' del resto impossibile immaginare che un ceto politico screditato e impegnato a perpetuarsi possa mettere in campo riforme decisive che porterebbero inevitabilmente alla decapitazione di chi le fa. Sarà bene rassegnarsi a un'agonia ancora prolungata della Repubblica. A meno che un Renzi di pari forza e solidi convincimenti non si faccia strada anche nel centrodestra. Allora sarebbero da rivedere i mesti ragionamenti fin qui svolti. 

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