venerdì 5 aprile 2013

BERSANI E BERLUSCONI DIVISI SU TUTTO MA UNITI DALLA PAURA DI RENZI

di Massimo Colaiacomo

     Girano ancora a vuoto le diplomazie ufficiali attivate da Berlusconi e da Bersani per sistemare la partita del Quirinale. Poco si sa, al di là delle congetture più o meno fantasiose delle cronache, sull'ordito al quale lavorano invece gli emissari di fiducia. La partita politica, per restare a quanto di concreto si vede sulla scena, ha registrato alcuni movimenti importanti, non decisivi, ma meritevoli di un'attenta valutazione.
     Il primo elemento è l'impazienza crescente di Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze ha preso a martellare quotidianamente contro "la perdita di tempo" della politica, espressione scoccata come una freccia all'indirizzo di Bersani reo, a giudizio di Renzi, di aver perso 40 giorni umiliandosi nell'inseguimento dei grillini senza cavare un ragno dal buco. Da qui l'aut aut a Bersani: cerchi l'intesa con il PdL per un governo di scopo, oppure si torni al voto.
     Qui si innestano le varianti di Berlusconi e di Bersani: il primo insiste per un governo di larghe intese, quindi un esecutivo tutto politico, con Pd e PdL, che gli garantirebbe quell'agognata legittimazione politica che insegue da quando è entrato in politica. Bersani non deflette dal suo disegno, anche se guardandosi dietro vede sempre più assottigliarsi le truppe dei suoi sostenitori per un governo sostenuto dai dissidenti grillini e dai naufraghi del montismo. Si tratta, appunto, di un disegno sempre più simile ai fuochi fatui di certe sere estive.
     Renzi è contrario alle larghe intese berlusconiane e al progetto politico già fallito di Bersani. Il sindaco di Firenze ha aggirato entrambi le strategie: il successo dell'una o dell'altra, lo avrebbe infatti  ridotto a una condizione marginale e dilatato enormemente i tempi della rivincita politica nel centrosinistra.
     Ecco che il governo di scopo o del presidente, vale a dire la soluzione che al momento sembra meno remota e attorno alla quale si va coagulando una nuova maggioranza nel PD, si configura come la soluzione più auspicabile o almeno più vicina agli interessi di Renzi. Per le ragioni opposte, è anche l'approdo più temuto da Berlusconi e da Bersani. Un governo di scopo, infatti, avrebbe un orizzonte temporale limitato, un'agenda circoscritta di impegni - primo fra tutti: la riforma elettorale - e, soprattutto, avrebbe in Renzi, con la sconfitta politica di Bersani, il nuovo candidato premier del centrosinistra. Una simile prospettiva, fondata sulla sconfitta di Bersani, non è rassicurante neppure per Berlusconi: l'ennesimo scontro elettorale, con un avversario che avrebbe la metà dei suoi anni, sarebbe una partita persa in partenza e Berlusconi, si sa, non gioca le partite nelle quali non abbia la certezza della vittoria o almeno della "non sconfitta".
     Renzi è, dunque, la variabile che potrebbe riattivare il dialogo fra Bersani e il Cav.  Dialogo che ruota attorno alla successione di Napolitano. E che ha bisogno, per funzionare sul piano del governo, di scartare personaggi troppo caratterizzati pro (Gianni Letta) o contro (Romano Prodi) Berlusconi. Gustavo Zagrebelski o Stefano Rodotà rappresenterebbero invece il salto nel buio per l'Italia e per la politica, con il loro radicalismo sulfureo sono infatti due rappresentanti di quell' "intransigentismo moralistico" che tanti guai ha provocato e altri può provocare nel nostro Paese.
     L'accordo su personalità come Franco Marini o Giuliano Amato o Massimo D'Alema consentirebbe a Bersani di ridurre il muro di incomunicabilità con Berlusconi, ma non risolverebbe il dilemma sul governo: come escludere Berlusconi se Grillo non porta i suoi voti? E come spiegare l'esclusione di Berlusconi dalla maggioranza dopo aver trovato con lui un'intesa sul Quirinale? Escluso dai giochi sul Quirinale, come potrebbe Bersani tornare alla carica su Grillo per ottenerne il suo sostegno al governo? Il Quirinale è il bandolo della matassa. Alla fine, però, la matassa ha già scritto "governo di scopo". Anche perché, sul Quirinale, ci sono i 50 voti di senatori e deputati renziani senza i quali Bersani non può far nulla. Renzi può a giusta ragione ritenersi soddisfatto: Bersani ora impugna il coltello non più dalla parte del manico ma dalla parte della lama. 

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