venerdì 8 febbraio 2013

SUL VOTO BRIVIDI GIUDIZIARI DA VICENDE MPS E SAIPEM-ENI

ENI-SAIPEM E MPS, DUE VICENDE CHE PESERANNO SUL DOPO VOTO

     Le vicende giudiziarie che riguardano la Banca Monte dei Paschi di Siena e l'Eni, con la sua controllata Saipem, hanno un peso tutto sommato marginale nel finale della campagna elettorale. Molto di più peseranno nel dopo-voto perché il nuovo governo si troverà ad affrontare questioni sempre rinviate ma, a questo punto, diventate rognosissime per il nuovo inquilino di Palazzo Chigi, chiunque esso sarà.
     Monte Paschi: è una storiaccia molto brutta, da qualunque parte la si guardi. La politica è magna pars per quello che è accaduto nel Quattrocentesco palazzo Rocca Salimbeni e la disputa è sulla dimensione - locale o nazionale - dei traffici fra politica, credito e nomine bancarie. Siena si è sempre mossa sul filo di lana della "legge Ciampi" sulle Fondazioni. Nel senso che il provvedimento voluto da Ciampi nel 1993 con il quale si voleva mettere una distanza di sicurezza fra la politica e la cassaforte delle banche con la nascita delle Fondazioni quale socio "pubblico" della Banca privatizzata ha funzionato in pochi, limitati casi. A Siena, per esempio, non ha funzionato affatto. Perché? Per la ragione che il "Monte", come lo chiamano con una punta di secolare orgoglio i senesi, ha sempre suscitato, in nome della "senesità" da salvaguardare, l'attenzione e una qual certa cupidigia della politica. I membri della Fondazione, socio di maggioranza del Monte sono per 13/15 di nomina politica poiché la loro designazione compete al Comune e alla Provincia di Siena. In un passato non certo remoto si trovano esempi di "rotazione" fra la carica di sindaco della città e quella di presidente della Fondazione o di presidente della Provincia. Insomma  un intreccio di cariche, e di relativi interessi, da cui non poteva che derivarne un'opacità nella governance della Fondazione. La quale è da sempre il polmone finanziario principale della città. Il "motor che tutto move", dicono, parafrasando Dante, i senesi sarcastici.
     Come riportare la Fondazione nell'alveo della legge Ciampi? Come può immaginare Profumo di trovare un socio finanziario forte (ricerca che da sola dice delle difficoltà della Fondazione a trovare i mezzi freschi per partecipare a un aumento di capitale della Banca) senza che sia stata fatta pulizia nei piani alti della Fondazione? E chi, se non la politica, può farlo? La polemica tenuta molto sottotono dal centrodestra non deve trarre in inganno. Dentro la Fondazione i partiti hanno fatto il bello e il brutto tempo, e molto di più. Un esponente del collegio sindacale, morto da qualche anno, non era forse la stessa persona che firmava i bilanci del PCI e poi del Pds mentre sedeva nel governo della Fondazione? E qualcuno ha mai chiarito le cause che in 48 ore portarono, nel 1993, al siluramento dell'allora direttore generale, Vincenzo Pennarola colpevole, si mormorava in città, di aver opposto un rifiuto alla concessione di un mutuo stellare al Pds?
     La storia del Monte è un capitolo dei più significativi della degenerazione cui può giungere un sistema quando la commistione tra politica e affari si trasforma da incidente di percorso in patologia stabile e strutturale nel funzionamento di una banca. Il futuro governo, soprattutto se di centrosinistra, avrà tutti i riflettori puntati non tanto sulla vicenda in sé quanto per gli interventi legislativi che è chiamato a fare e dai quali non può sottrarsi. La legge Ciampi non ha funzionato. Essa va riscritta, vent'anni dopo, perché la separazione fra gli istituti di credito e la politica non c'è stata e il cordone ombelicale non è stato reciso. I mercati, invocati spesso a sproposito, guarderanno anche a Siena per capire dove andrà a parare il nuovo esecutivo.


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     Di tutt'altra natura, ma non meno devastante per le conseguenze che potrebbe avere sul sistema Paese, è la vicenda che riguarda il presunto pagamento di tangenti a funzionari e politici algerini e per la quale sono indagati diversi manager dell'Eni, a partire dal suo Ad Paolo Scaroni. La vicenda risalirebbe al 2009. Ora Scaroni è universalmente riconosciuto come un abile uomo d'affari, un negoziatore duro e insieme flessibile. Si muove con il piglio di un manager che ha vissuto per anni nel mondo anglosassone (prima dell'Eni e dell'Enel, dove è stato prima di Fulvio Conti,  è stato Ceo alla Pilkington Ltd, il più grande produttore di vetri in Gran Bretagna). Contro di lui i Pm milanesi indagano con l'accusa di corruzione internazionale, reato che sarebbe stato consumato versando in più tranches una maxi tangente di 197 milioni di euro a un intermediario algerino con lo scopo di favorire l'assegnazione a Saipem di importanti appalti in quel Paese.
     Sarà la giustizia, con i tempi non proprio degni di un Paese civile, a stabilire la fondatezza o meno di un'accusa infamante e già respinta dall'interessato. La politica ha fin qui taciuto, con l'unica eccezione di Silvio Berlusconi. Si badi bene, Scaroni, al pari di Conti all'Enel, è stato trovato e confermato da Silvio Berlusconi.
     L'inchiesta sui vertici di una compagnia che è fra le prime 10 al mondo ha effetti destabilizzanti già per il solo fatto che si svolga. Da molti anni ormai le carte della  geografia politica mondiale e di quella energetica coincidono alla perfezione. La nascita di Southstream, l'enorme oleodotto che dovrebbe far giungere in Europa, via Turchia, è destinata a rivoluzionare la politica energetica fra le sponde del Mediterraneo. Che cosa significa per l'Eni e per Saipem? I rapporti di Roma con Mosca, finiti nel mirino della stampa anglosassone e delle opposizioni di sinistra in Italia, erano eccellenti con Berlusconi a Palazzo Chigi. Sono rimasti tali con Mario Monti, che a Mosca si è recato tre volte in tredici mesi per incontrarvi Vladimir Putin.
     Il nuovo governo, soprattutto se di sinistra, non potrà incidere molto sull'asse energetico Roma-Mosca senza esporre l'Italia a gravi rischi per la propria capacità di approvvigionamento energetico. Putin o non Putin, le linee di una politica energetica paneuropea sono state tracciate da anni e l'architetto è stato quel cancelliere Gerhard Schroeder, co-autore con Putin del primo progetto di oleodotto, il Northstream, di cui Schroeder divenne presidente per alcuni anni subito dopo la sconfitta elettorale del 2005. 
     Sarà difficile per il nuovo esecutivo, al netto degli sviluppi giudiziari della vicenda Eni-Saipem, immaginare un boulversement della politica energetica italiana. Anch'essa, tutto sommato, condizionata dalle scelte fatte anzitempo dalla Germania.

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