venerdì 22 febbraio 2013

COSI' MUORE UNA REPUBBLICA E UN'ALTRA PUO' NASCERE

di Massimo Colaiacomo

     Beppe Grillo prenderà molti voti. E' l'unica buona notizia che le urne promettono di regalare all'Italia la sera di lunedì 25 febbraio. Quanti voti prenderà? Abbastanza per impedire la formazione di un governo Bersani-Monti? Oppure molti ma non sufficienti per impedire la nascita di un'alleanza asfittica, destinata a prolungare l'agonia della Repubblica?
     Nessuno, neppure l'interessato, scommette un soldo bucato che sia Beppe Grillo la risposta ai mali dell'Italia. Il comico genovese può funzionare, come sta funzionando, da detonatore di una crisi che non è solo economica e sociale, ma è soprattutto istituzionale e costituzionale, acuita nella ultimi vent'anni ma cronicizzata da almeno quaranta. Egli può essere il necroforo della prima Repubblica, coe Mendes-Frnce lo fu della Quarta Repubblica francese, perché quello in cui viviamo è il secondo tempo della prima Repubblica non essendo mai nata la seconda se non nella fantasia e nella convenzione giornalistica. La debolezza delle istituzioni repubblicane è sotto gli occhi di tutti. Il prestigio e l'autorevolezza di personalità come Giorgio Napolitano, così come ieri di Carlo Azeglio Ciampi, hanno dissimulato la grave crisi istituzionale e, in qualche misura, l'hanno inconsapevolmente aggravata impedendo che essa si manifestasse in tutta la sua vastità. La lunga stagione dei "pannicelli caldi" è agli sgoccioli e l'intimazione di Grillo ai partiti "Arrendetevi, uscite mani in alto e non vi sarà torto un capello" per quanto surreale è la migliore descrizione della situazione in cui versa oggi l'Italia.

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     In un libriccino scritto a metà degli anni '80, Norberto Bobbio aveva individuato due domande rispondendo alle quali si potrebbe - secondo il filosofo - stabilire la qualità di un sistema democratico. Eccole: chi comanda? e sulla base di quali procedure? Domande semplici ed efficaci. E soprattutto attuali. Allora dobbiamo chiederci: chi comanda oggi in Italia? e sulla base di quali procedure?
     Qualcuno è in grado di dare risposte chiare e plausibili? Temo di no. Nessuno saprebbe dire con certezza chi è che oggi comanda in Italia e sulla base di quali procedure esercita quel potere. Non è possibile rispondere per una serie di ragioni, ma per due in particolare: il verbo "comandare" è stato espunto dal lessico della politica; le procedure per l'esercizio del comando sono oggi le stesse del 1947,  pensate, e volute, farraginose e opache dai costituenti allo scopo, forse, di disperdere in più luoghi istituzionali il potere ed evitare così la sua concentrazione nelle mani di una sola persona.
     Sull'inadeguatezza dell'edificio istituzionale si sono innestate le patologie di un ceto politico via via degradato, sul piano delle qualità personali e della formazione. Alla continua ricerca del consenso, la politica ha finito con la rinuncia al suo ruolo di guida della società per trasformarsi in un semplice specchio riflettente. Essa incarna al meglio i vizi e le abiezioni della società civile, in nulla diversa e per niente migliore del ceto politico che esprime.
     La Repubblica è in una condizione agonica. La causa è nella politica, ma non perché quella cattiva ha vinto sulla politica buona, secondo una raffigurazione ingenua e di comodo. La politica ha fallito perché ha fallito la Costituzione. L'ostinata difesa della Carta costituzionale, anche in quelle parti palesemente superate dalla realtà, da parte di un ceto politico non privo di una sua nobile storia, ha aggravato il distacco fra i cittadini e lo Stato, la cui presenza si rivela e si manifesta in un'intima adesione allo spirito della Costituzione. Il compromesso trovato 67 anni fa dai padri costituenti ha partorito una Costituzione che solo chi non ama l'Italia e la libertà può definire "la più bella del mondo".
     Come si può definire bella una Costituzione che fonda una Repubblica sul lavoro? Qualcuno conosce altre Repubbliche fondate sul lavoro? La democrazia federale americana è fondata sulla libertà della persona; quella francese sui diritti universali di libertà, fraternità ed eguaglianza. Quella italiana ... sul lavoro.
     Beppe Grillo può essere il necroforo a lungo atteso per dare sepoltura, purtroppo neanche dignitosa vista la povertà del personaggio, a una Repubblica che ha dato buoni ma limitatissimi frutti. Ora devono farsi avanti le forze responsabili, esigue come è evidente, ma presenti in tutti i partiti per riscrivere il patto fondativo della Nazione e restituire così a una società atomizzata un orizzonte di valori e il sentimento di una comune appartenenza a un unico destino nazionale.
     Le coscienze più avvertite non possono non vedere nella Repubblica presidenziale la risposta più alta e ineludibile per riaffermare il diritto del popolo italiano a riconoscersi nel destino comune per il quale tante generazioni si sono spese nel Risorgimento. La riscrittura della Costituzione e l'introduzione del presidenzialismo possono essere la via d'uscita a lungo cercata per metterci alle spalle le divisioni sanguinose delle ideologie novecentesche. Ci sono personalità in tutti gli schieramenti per impegnarsi in un disegno di vasto respiro. Massimo D'Alema è il più autorevole esponente, non solo nella sinistra, per   mettersi alla testa di un vasto movimento riformatore. Quello che in Francia fece De Gaulle, in Italia può farlo un esponente della sinistra un tempo comunista. Un esponente che abbia coraggio sufficiente e lungimiranza. D'Alema, con Fassino, è stato l'unico esponente che nel tempo ha tentato di rileggere la stagione del riformismo craxiano senza il carico di rancori che quel nome e quella storia hanno sempre suscitato nella sinistra italiana.
     Se la politica saprà trovare il coraggio di girare una pagina della storia per iniziare a scrivere un capitolo nuovo, allora il grillismo avrà avuto i suoi meriti. E sarà servito a qualcosa.
     
      

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