mercoledì 13 febbraio 2013

FINMECCANICA, GRAN CAPOLAVORO DELL'ETICA GLOBALIZZATA

     Siamo tutti (o quasi) d'accordo che i reati vanno perseguiti. Tutti i reati e in qualsiasi momento (prima, durante e dopo la campagna elettorale). E così deve essere per le presunte tangenti pagate da Finmeccanica e dalla sua controllata Agusta Westaland a uomini d'affari per avere la commessa di elicotteri, del valore di 750 milioni di dollari, dal ministero della Difesa di New Delhi.
     Tutto bene, tutto giusto? Non esattamente. L'ipotesi di corruzione internazionale, cioè di un reato consumato con la complicità di soggetti non immediatamente nella disponibilità degli inquirenti di Busto Arsizio, è una complicazione di non poco conto. Gli inquirenti hanno proceduto all'arresto del presidente di Finmeccanica, Orsi, nella veste presunta di corruttore, ma non dispongono, almeno in questa fase dell'inchiesta, della facoltà di arrestare i presunti "corrotti". E i corrotti, si sa, sono parte non irrilevante in sede processuale. Insomma, se ho pagato una tangente, il magistrato deve acciuffare me, in quanto corruttore, ma deve anche poter acciuffare il corrotto perché incrociando le nostre rispettive posizioni potrà giungere alla prova palmare della consumazione del reato. In mancanza di uno di questi tasselli, il processo rischia di risolversi in un procedimento indiziario, il che non è un bell'esempio di buona giustizia.
     In attesa che le tessere processuali vadano al loro posto (e ce ne vorrà, visti i tempi della giustizia), possiamo intanto tirare i primi conti della vicenda. E sono, come si è visto dalle notizie di oggi, conti pesanti per l'Italia e per il sistema industriale. Il titolo Finmeccanica è stato sospeso in Borsa per eccesso di ribasso ma, fatto assai più grave, il ministero degli Esteri di New Delhi ha deciso di sospendere la commessa di 12 elicotteri e, di conseguenza, le tranches dei pagamenti. Il danno economico è enorme, ma il danno industriale e d'immagine per l'Italia è davvero straordinario.
     L'inchiesta seguirà il suo corso, come si dice in questi casi. Ma anche il declino del sistema italiano seguirà, ineluttabilmente, il suo corso. Al crocevia fra business ed etica pubblica, ecco che il sistema Italia conferma una volta di più le sue ataviche fragilità. La conduzione di affari cospicui (si pensi ai contratti Saipem in Algeria: parliamo di decine di miliardi di euro) avviene in due modi: o un'azienda si muove sulla scena internazionale avendo alle spalle un "sistema Paese", e quindi un governo, che prepara il terreno con gli interlocutori; oppure, quella stessa azienda è costretta a muoversi e a navigare in un mare infestato di squali e a utilizzare i mezzi di cui dispone, leciti o meno che siano.
     Per fare un esempio, lontano nel tempo: quando, a metà degli anni '90, il governo ungherese organizzò una gara internazionale per la vendita dell'operatore telefonico pubblico, accorsero molte aziende, compresa la nostra Sip (non ancora Telecom). Con una differenza sostanziale: la tedesca Deutsche Telekom si fece precedere da un incontro al vertice fra i governi tedesco e ungherese. Il cancelliere Helmut Kohl si presentò a Budapest accompagnato da ben 7 ministri del suo governo. A sostegno di Deutsche Telekom Kohl spese altre carte, come la fornitura di macchinari industriali a prezzi vantaggiosi per Budapest e la compartecipazione di Berlino alla costruzione di alcune infrastrutture.
     Non c'era corruzione in questo atteggiamento. C'era piuttosto una "captatio benevolentiae", del tutto lecita da parte di un governo, che comportava dei vantaggi economici per gli ungheresi. Inutile dire come finì la gara: Deutsche Telekom si aggiudicò l'asta senza colpo ferire, sbaragliando i concorrenti.
     Finmeccanica,  ma anche Eni o Enel, si muovono sullo scacchiere internazionale con la sola forza che gli deriva dall'essere gruppi internazionali, con un brand riconosciuto, ma senza poter contare sul "peso politico" del sistema Paese. In campo energetico, però, qualcosa è cambiato. I discussi viaggi dell'allora premier Silvio Berlusconi a Mosca per incontrare "l'amico" Vladimir Putin hanno procurato contropartite rilevanti per le aziende energetiche italiane. Basti pensare alla più grande centrale idroelettrica della Russia, costruita e gestita da Enel, ai piedi degli Urali orientali. Oppure ai contratti di Eni per lo sfruttamento del gas, in compartecipazione con Gazprom.
     Le inchieste dei magistrati di Busto Arsizio hanno il merito prima di tutto di interrogare il ceto politico sulle sue responsabilità e suonano come l'ennesima denuncia dell'incapacità dell'Italia di "fare sistema" sulla scena internazionale. Certo è, però, che a pagare il prezzo di queste insufficienze rischiano di essere ancora una volta quelli più incolpevoli, cioè i lavoratori.
     Non è compito del magistrato salvaguardare il sistema industriale italiano. Ma neppure può essergli indifferente la conseguenza che il suo operato può avere sul sistema Italia.

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