domenica 18 dicembre 2016

SULLA LEGGE ELETTORALE RENZI SCOPRE UNA CARTA IN UNA PARTITA ANCORA LUNGA


di Massimo Colaiacomo


     È una partita lunga quella che si aprirà sulla legge elettorale. Più lunga, sicuramente, dell'attesa non breve della sentenza della Corte costituzionale in programma il 24 gennaio. All'assenblea del PD Renzi ha scoperto una carta, schierando il partito sul Mattarellum, un sostegno che ha spiegato quasi come atto d'omaggio all'attuale presidente della Repubblica, ma che gli era utile per ridurre il solco scavato nel PD dal referendum. Il che la dice lunga sulla consistenza della proposta, e sulla convinzione di Renzi di fare una battaglia alla morte per riavere quel sistema elettorale. La logica politica, invece, ha quasi costretto Renzi a indicare il Mattarellum perché quel sistema di voto - tre quarti maggioritario e un 25% di proporzionale - è tale da rendere difficile l'alzata di scudi della minoranza interna. Per un segretario che aspira a riconquistare e, possibilmente, ampliare il perimetro dei consensi nel PD è stato un passo obbligato e la decisione della minoranza di non partecipare al voto sul documento finale per non affossare, con un no, anche il Mattarellum dà in parte a ragione a Renzi.
     Nello stesso tempo, erano prevedibili le barricate delle opposizioni, non tutte, ma sicuramente di Forza Italia e dei grillini. Il Mattarellum va bene a Meloni e a Salvini, desiderosi di spartirsi le spoglie di Forza Italia costringendo Berlusconi a celebrare le primarie per indicare il candidato premier. Ma i Cinquestelle vedono il Mattarellum come il toro vede la tela rossa del matador. Di Maio boccia la proposta: un mezzo, è il suo back hit, per perdere tempo. Ma non dice nulla di più sul merito, con ciò lasciando coperte le carte dei grillini. È plausibile il ragionamento di chi afferma che Grillo, in fondo, non disprezza un meccanismo proporzionale, il più adatto per raccogliere consensi, mantenersi "vergini" sul terreno delle alleanze, ed evitare il "rischio" di vincere le elezioni che significherebbe accollarsi il rischio mortale di governare, come insegna il "caso Roma".
     La legge elettorale, come ha insegnato Giuseppe Maranini, è il meccanismo decisivo nella distribuzione del potere politico e la scelta del sistema di voto, maggioritario o proporzionale, a turno unico o con ballottaggio, con premio di maggioranza alla lista o alla coalizione, interagisce con gli interessi economici e sociali che si coagulano attorno a un partito per ottenerne una mera tutela o per condizionarne la politica economica. Renzi ha detto di temere un ritorno al proporzionale, ma si tratta più di una cortina fumogena alzata per creare confusione nel campo avversario che non di un convincimento intimo. Per l'ex premier, come per i suoi avversari, la questione, posta in modo ruvido, è trovare il percorso che consenta di vincere, scegliendo possibilmente l'avversario più debole o meno competitivo. Con la vena provocatoria che non lo abbandona, Renzi si è perfino augurato di trovarsi Berlusconi come sfidante. Dietro una battuta, però, si intuisce anche una verità: Berlusconi può essere lo sfidante ufficiale alla sola condizione che Forza Italia non si veda costretta nella gabbia del maggioritario, quindi alla celebrazione delle primarie per designare un candidato unico del centrodestra nel qual caso sarebbero altri gli sfidanti di Renzi.
     Dietro i ragionamenti fatti da Renzi all'assemblea del PD si intuisce il desiderio di un leader malamente disarcionato dagli elettori, di riconquistare il centro della scena senza pagare prezzi insopportabili. La stessa decisione di celebrare il congresso alla scadenza naturale, cioè alla fine del 2017, può essere letto come un gesto distensivo verso la minoranza e come il tentativo di non intralciare più di tanto l'azione del "governo amico" di Gentiloni. Dall'altro lato, Renzi punta a consolidare la sua segreteria allargandola alle componenti interne. Ma questo significa mettere in conto un rapporto diverso e meno estemporaneo con il governo. Alla minoranza di Speranza e Bersani non può bastare un governo che faccia la legge elettorale per precipitare verso il voto, lasciando ai margini le questioni sociali. Quando Renzi riconosce, come ha riconosciuto, che non ha saputo ascoltare il "dolore" sociale del Paese, non può scrivere questa lacuna nel programma del futuro governo, ma sta implicitamente scrivendo un punto nell'agenda di questo esecutivo. O almeno così gli chiederanno di fare gli oppositori interni,

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