sabato 10 dicembre 2016

DA GENTILONI A GENTILONI?


di Massimo Colaiacomo

     Può il presidente dimissionario Matteo Renzi vincolare la delegazione del PD a dare il solo nome di Paolo Gentiloni, sia pure camuffato in una rosa di nomi, alla consultazioni del Quirinale? Un vincolo simile, in assenza di un chiarimento interno al PD, suona come l'ennesima provocazione di Renzi all'opposizione interna e come un muro alzato alle opposizioni. Come unica alternativa, il presidente dimissionario intravvede un governo di "responsabilità nazionale", vale a dire l'attuale maggioranza più Forza Italia costretta a quel punto a una rottura definitiva con Lega e Fratelli d'Italia.
     La rigidità renziana si spiega, ma solo in parte, con la ritardata elaborazione del lutto. Essa rischia di mettere ostacoli ulteriori al già difficile compito del presidente della Repubblica che dovrà ricorrere a tutte le sue non poche e riconosciute qualità diplomatiche e alla sensibilità politica maturata nella lunga militanza DC. Quando riceverà la delegazione del PD, composta dal "franceschiniano" Luigi Zanda e da due fedeli "renziani" come Lorenzo Guerini ed Ettore Rosato,  Mattarella ascolterà argomenti già ampiamente affrontati dagli opinionisti e sui mass media. Nessuno dei quali, però, tiene conto della più complessa realtà del Paese, che va ben oltre le fregole elettorali di Renzi, Grillo e Salvini. Perché l'aut-aut del PD - o una maggioranza ampia o un governo che faccia la legge elettorale per andare subito dopo al voto - è disancorato dai problemi che premono e da scadenze drammatiche, a cominciare dal rifiuto della BCE di concedere altro tempo al Monte dei Maschi di Siena per ricapitalizzarsi sui mercati o dai 7-10 miliardi che mancano alla Legge di Stabilità e per i quali la Commissione UE potrebbe aprire una procedura di infrazione nel bel mezzo della campagna elettorale agognata da Renzi.
     Tanto distacco dai problemi che bussano alla porta dell'Italia è la misura del cortocircuito in cui sta entrando la politica. Ed è un regalo ulteriore fatto al grillismo, pronto a sfruttare e a inserirsi nelle contraddizioni di una politica incapace di uno scatto di reni. Per il M5s, che rifiuta ogni tavolo elettorale, è facile gioco chiamarsi fuori lasciando che le forze tradizionali si consumino nel gioco devastante dei veti incrociati. Il governo di responsabilità proposto da Renzi a quella che aveva definito un' "accozzaglia", e respinto perentoriamente da Salvini e Meloni,  è una provocazione nell'ottica renziana, per come è stata avanzata e per i toni che l'hanno accompagnata. Renzi continua a ragionare e a muoversi su un terreno di pura conflittualità, pur sapendo che più esteso è il fronte degli avversari più la soluzione che troverà Mattarella sarà necessariamente lontana dai calcoli renziani.
     Il nome del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è l'unico ramoscello d'ulivo che Renzi può offrire ai suoi avversari interni. Discendente di Vincenzo Ottorino Gentiloni, il nobile che diede il nome al Patto che portò per la prima volta i cattolici a superare il "non expedit" e a candidarsi nelle liste liberali di Giovanni Giolitti, Paolo Gentiloni incarna perfettamente la vocazione pattizia di una certa Italia. Si parla qui di un patto di potere che Renzi è pronto a siglare se gli avversari interni faranno finta di non riconoscere in Gentiloni un'assicurazione sulla continuità del "renzismo senza Renzi". Il che, tradotto nelle cifre della politica, equivale a mantenere Luca Lotti a Palazzo Chigi per gestire il delicato dossier delle nomine di primavera: da Enel ed Eni, a Leonardo Finmeccanica, alle Poste e alla Rai, passando per i servizi segreti e le forze militari.
     È accettabile dalle minoranze del PD un simile schema? Possono Franceschini e Cuperlo, Bersani e Speranza, accontentarsi dell'uscita di Renzi da palazzo Chigi lasciando intatte, nelle mani di Lotti, le leve del potere? Ammesso che Gentiloni si faccia in qualche misura garante degli equilibri interni al PD, come potrà, una volta a palazzo Chigi, lasciare intonsi dossier scottanti come le banche da ricapitalizzare, o i miliardi da trovare per coprire i buchi della Legge di Stabilità? All'orizzonte si intravvede un crocevia di problemi la cui urgenza è destinata a far impallidire l'esigenza, pur giusta, di riscrivere una legge elettorale uniforme per Camera e Senato. Se Gentiloni sarà il successore di Renzi, non potrà essere fino in fondo il suo avatar. I problemi che dovrà affrontare e le difficoltà che dovrà superare sono fatti per conferire al futuro nuovo governo uno spessore politico e una dimensione istituzionale che necessariamente sfuggiranno dalle mani di Renzi. Che sia Gentiloni o un altro, poco importa. Il futuro governo, e le opposizioni oggi tanto agguerrite, dovranno misurarsi con la realtà complessa dei problemi e sulla base delle risposte che sapranno dare, dal governo come dall'opposizione, si potrà assistere a una ridefinizione complessiva degli schieramenti e delle opzioni politiche in vista delle elezioni. Che saranno, con buona pace di Grillo, alla scadenza naturale della legislatura.

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