martedì 20 dicembre 2016

DOPO LA COSTITUZIONE, RENZI S'INCARTA SULLA LEGGE ELETTORALE


di Massimo Colaiacomo


     Archiviata ma non ancora meditata la sconfitta al referendum costituzionale, Matteo Renzi si prepara ad allargare il fronte delle ostilità sulla legge elettorale che vuole "qui e subito" per tornare alle urne nello spazio d'un mattino. All'assemblea del partito, che lo ha ascoltato silente, ha proposto il ritorno al Mattarellum, cioè a un sistema maggioritario con uno spruzzo di proporzionale, che alla fine degli anni '90 trasmise agli italiani la percezione di un sistema finalmente bipolare o comunque vicino a quello in uso nelle democrazie più mature.
     Molti ricordano come è andata. Tranne la legislatura dal 2001 al 2006, tutte le altre hanno avuto vita effimera. Coalizioni ampie e all'apparenza inattaccabili si sono sciolte come neve al sole per i motivi più diversi. Berlusconi gettò la spugna nel '95 perché si defilò la Lega di Bossi, Prodi passò la mano nel '98 per la contrarietà di Rifondazione comunista alla guerra nei Balcani. Nel 2008 ancora Prodi lasciò il governo dopo la vicenda giudiziaria che coinvolse il ministro della Giustizia Clemente Mastella e sua moglie. Con ciò si vuole dire che la legge elettorale è uno dei meccanismi, ma non il solo e neppure, forse, il più importante per assicurare la stabilità del sistema. Senza un quadro di valori condivisi su questioni di rilevanza nazionale - si tratti della politica estera o della lotta al terrorismo - nessun sistema elettorale è in grado di impedire lo sfarinamento del quadro politico che è sotto i nostri occhi.
     I limiti del Mattarellum sono, in misura diversa, i limiti congeniti a qualsiasi sistema elettorale riferito alla complicata situazione italiana. Rispetto agli anni '90 e alla fine del sistema proporzionale, gli elettori hanno sperimentato i più diversi meccanismi di voto, dalle Regioni ai Comuni al Parlamento. Con un'importante eccezione nei Comuni e nelle Regioni: perché una volta sfiduciato, il sindaco o il presidente della Regione, è obbligo di legge tornare alle urne. Siamo cioè in presenza dell'istituto della sfiducia che equivale all'obbligo di scioglimento del governo locale per tornare al giudizio degli elettori. Può essere utile, e in che misura, trasferire questo istituto al Parlamento nazionale? L'obiettivo del cosiddetto "sindaco d'Italia" presuppone in realtà una revisione della Costituzione molto più radicale di quella immaginata da Renzi. Perché tutto sommato nella riforma renziana non veniva toccato il potere di incarico al premier da parte del presidente della Repubblica, né venivano messe in discussione le procedure relative alla nascita di nuovi governi in Parlamento, una volta sfiduciato quello eletto dai cittadini. Una riforma quanto meno opaca su questi aspetti che sono, per certi versi, il cuore dell'equilibrio del sistema. Quella di Renzi era una riforma "pigliatutto" per il vincitore, mentre lasciava sullo sfondo altre decisive questioni.
     Per chi ritiene di avere "straperso" il referendum, non è un buon viatico battere il pugno sul tavolo per imporre il Mattarellum. Si sa, però, che nei calcoli di Renzi gli aspetti tattici hanno sempre la prevalenza sulla visione strategica. E la riproposizione del Mattarellum è l'esaltazione del tatticismo puro. Renzi sa che la sua proposta è fatta per creare scompiglio nel centrodestra decapitato di una leadership, come sa che la costrizione all'alleanza nei collegi uninominali è un limite vistoso per Grillo, da sempre votato alla corsa solitaria. Nella testa di Renzi, la vasta platea di elettori che non si riconosce in lui, o in Grillo o in Salvini-Meloni sarebbe portata a scegliere il "male minore" del PD. Ovvio che un simile schema è fatto per togliere il sonno a Forza Italia e ai partiti centristi minori, costretti gli uni e gli altri ad accasarsi in uno degli schieramenti maggiori pagando per questo un dazio pesante.
     Rimane da chiedersi se è davvero il Mattarellum la carta buona di Renzi o se siamo in presenza dell'ennesimo bluff. Finora questa proposta è valsa a ridurre le tensioni nel PD, almeno sulla legge elettorale, e a creare difficoltà negli oppositori interni del premier, da sempre sostenitori del maggioritario. I quali devono oggi confidare sul nemico di sempre, Berlusconi, e sul concorrente più temibile e insidioso, Beppe Grillo,  per uscire dall'angolo. Per Renzi, è evidente, si profila il rischio, una volta sconfitto al referendum, di incartarsi sulla legge elettorale i cui tempi, a parte la sentenza della Corte, si annunciano più lunghi rispetto al calcolo renziano di una rivincita elettorale da avere già in primavera. Soprattutto, insistere nel focalizzare ogni energia del partito sulla riforma elettorale, rischia di proiettare nel Paese e negli elettori l'immagine di un politico interessato soltanto a non perdere il potere.

Nessun commento:

Posta un commento