domenica 18 dicembre 2016

QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DER CAMPIDOGLIO


di Massimo Colaiacomo

     Il clima in Campidoglio è sicuramente surreale, come nel celebre romanzo di Carlo Emilio Gadda. I personaggi non sono certo all'altezza del commissario Ingravallo, delle sue nevrosi ossessive, sono però capaci di trasmettere un senso di ansietà e insieme di vuoto ai romani. Una vicenda amministrativa che si svolge fuori dal circuito istituzionale non è certo un fatto nuovo, a Roma come nel resto d'Italia. Già nel passato remoto accadeva che una crisi in un grande comune mobilitasse i vertici nazionali di un partito. Ecco: Grillo e Casaleggio si sono mossi come nel passato remoto della politica. Con un'aggravante per loro: i vertici nazionali dei partiti erano stati scelti da un congresso, o da una direzione o un da consiglio nazionale. I vertici del M5s non sono stati scelti da nessuno: è un caso, sempre più diffuso, di autoincoronazione. Grillo e Casaleggio, attraverso la società privata della Casaleggio&associati, decidono le sorti della Capitale. Hanno nominato vice sindaco un imprenditore, Massimo Colomban, e toccherà a lui, privato cittadino, nel caso dovesse finire indagata Virginia Raggi,  di reggere l'amministrazione capitolina.
     Si può immaginare che Matteo Renzi osservi questo panorama di macerie con malcelato compiacimento. Lui, accusato di essersi insediato a palazzo Chigi senza essere mai stato eletto da nessuno, avrà una carta in più da giocare il giorno in cui il Campidoglio dovesse restare senza sindaco. Anche se la legge comunale, diversamente dai progetti di Grillo, non prevede, in caso di dimissioni del sindaco il subentro del uso vice. Se Virginia Raggi si dimette, la legge prevede soltanto le urne senza alternative.
     La resa senza condizioni di Raggi ai diktat dei vertici M5s è una sconfitta per la sindaco ma, nello stesso tempo, è una prova di realismo che lei offre al movimento. Piegando la testa, ha evitato che la situazione sfuggisse di mano con danni irreparabili a livello nazionale. Rimane, certo, l'opacità delle procedure e dei riti seguiti dal M5s per superare una crisi al momento soltanto congelata visto che gli sviluppi delle indagini giudiziarie sono al momento imprevedibili e potrebbero investire direttamente il sindaco.
     I romani assistono sconcertati alle liturgie grilline, né più né meno come assistevano nel passato ai riti della partitocrazia. I problemi di Roma sono stati lasciati ai margini nei sei mesi di amministrazione grillina. Il decoro, i trasporti pubblici, la sicurezza, il verde e il degrado urbano sono piaghe che si estendono dalle periferie al centro, non ci sono angoli rimasti incontaminati. Una tale situazione non può che pesare sull'immagine del M5s e sulla credibilità dei suoi vertici. Quando Grillo si mostra risentito "per le denunce facili" non si accorge, e forse nessuno dei suoi glielo ha fatto notare, che non si esprime diversamente dai vecchi leader politici. Chiamare in causa la giustizia "a orologeria", come decenni or sono già fecero Craxi o Forlani, è un'ammissione di impotenza rispetto alla sfida del governo. Colpisce, in particolare, la circostanza per cui all'interno del M5s si sono affermate le stesse logiche correntizie e di potere tipiche dei partiti organizzati e la cui assenza , invece, avrebbe dovuto essere il timbro dell'originalità grillina. Così non è stato e questo è, al momento, il fallimento più clamoroso dei Cinquestelle.
     Cacciata dalla porta, la politica, prima o poi rientra dalla finestra e consuma le sue rivincite. Dopo il crollo del bipolarismo e dopo il tracollo del moralismo grillino, si avverte l'urgenza di aprire una fase di riflessione se non di ripensamento sugli ultimi decenni di vita politica. L'idea che i partiti siano il peccato originale da cui tutti i mali sono derivati, comincia a cedere il posto all'idea che è stata la degenerazione dei partiti a trascinare il Paese nel vortice della crisi. In mancanza di alternative, i partiti politici organizzati, con regole chiare di democrazia interna, si confermano il cardine insostituibile della democrazia parlamentare. I partiti sono il baluardo contro le ondate populiste, non a caso meno travolgenti in Germania, Francia o Spagna dove, a differenza dell'Italia, le grandi forze politiche conservano una forte credibilità sociale.  

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