venerdì 7 marzo 2014

RENZI PERDE VELOCITÀ, MA SULLA LEGGE ELETTORALE SI GIOCA TUTTO

di Massimo Colaiacomo

Le questioni della parità di genere o del ritorno alle preferenze sono soltanto le due ultime trappole messe sul cammino della legge elettorale. Renzi sa di giocarsi tutto su questa riforma: mandarla in porto secondo le intese siglate con Berlusconi, oppure stravolgerla come vorrebbe una parte del Pd, ma non solo, potrà decidere il destino del governo e la sua capacità di realizzare le altre riforme attese dall'Europa.
La riforma elettorale non è, come si pensava, la scorciatoia attraverso cui Renzi pensa di ottenere lo scioglimento del Parlamento per andare al voto. Il premier la ritiene invece la pistola fumante da mettere sul tavolo della sua maggioranza per indurla ad accettare un percorso di riforme non facili e socialmente costose. Per cambiare il mercato del lavoro come per tagliare la spesa pubblica in modo incisivo, Renzi ha bisogno del tempo necessario perché almeno nella fase iniziale sono riforme destinate ad accrescere il disagio sociale già diffuso. Il tempo serve a Renzi per poter cogliere il dividendo elettorale di queste riforme, sempre che esse saranno realizzate.
Per cogliere questi obiettivi la legge elettorale è una leva decisiva nelle mani del premier. Senza, Renzi diventa prigioniero di una maggioranza già malmostosa e condannata nei prossimi mesi a coltivare le sue divisioni in vista della campagna elettorale europea.
Al premier va riconosciuto di non aver sbagliato il suo passo d'esordio sulla scena europea. Quell'accenno all'Italia che sa già che cosa fare per mettere ordine in casa senza bisogno di fare i compiti assegnati da altri, aveva un sapore quasi craxiano nel suo impasto di spavalderia personale e di orgoglio nazionale. La differenza con i suoi predecessori - da Berlusconi a Monti fino a Letta - non poteva essere più netta. Renzi ha risposto a Bruxelles esattamente come fece Mariano Rajoy, due anni fa. Di fronte all'ultimatum di Van Rompuy che imponeva alla Spagna di stare dentro il 5,8% del rapporto deficit-Pil, il premier spagnolo non esitò a infischiarsene e a riaffermare che per il 2012 a Madrid quel rapporto sarebbe stato intorno al 6,3%.
Dopo il vertice europeo e con l'annuncio che non ci saranno manovre di finanza pubblica per aggiustare i conti, Renzi si è tagliato molti ponti alle spalle e ha deciso che gli aggiustamenti di finanza saranno perseguiti d'ora in avanti soltanto attraverso riforme strutturali. Ha lanciato il guanto di sfida in Europa ma anche alla maggioranza che lo sostiene. L'Italia è rimasto uno degli ultimi Paesi dell'Unione senza nessuna riforma o con riforme sbagliate, come la legge Fornero. Si torna così al dilemma iniziale: può Renzi governare la sua maggioranza, e in particolare il Pd, senza la frusta di una legge elettorale che lo metta al riparo da piccoli e grandi ricatti? Se Renzi non riesce a tenere la barra dritta sulla riforma del Senato, non da abolire ma da cambiare radicalmente per farne la sede di rappresentanza delle autonomie locali, e a tenere il punto sulle soglie di accesso come sull'abolizione delle preferenze, per lui si chiuderanno molte porte e il quadro politico precipiterebbe nuovamente nel caos.

  

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