sabato 8 marzo 2014

MARIANO RAJOY CORRE PIÙ VELOCE DI RENZI

UN CONSERVATORE RIVOLUZIONARIO, LA SPAGNA FUORI DAL TUNNEL

di Massimo Colaiacomo

La sinistra progetta le riforme, la destra le fa e le applica. Una conferma a questo aforisma, uno dei tanti attribuiti alla mente fertile di Winston Churchill, è venuta in questi ultimi mesi dal premier spagnolo Mariano Rajoy. Sulle pagine dei giornali che si stampano nell'asfittica provincia italiana sono uscite notizie con il contagocce, qualche trafiletto nelle pagine interne, ma le scelte del governo conservatore spagnolo hanno messo in moto un'autentica rivoluzione sociale ed economica. Mai preceduto da annunci, in pochi mesi Rajoy ha preso una serie di decisioni il cui impatto è stato immediato in certi casi e promette di essere ancora più incisivo nei prossimi mesi.
Stiamo parlando del Paese dove nel maggio 2011 esplose la rivolta degli indygnados, un movimento che in poche settimane contagiò giovani e disoccupati in molti dei Paesi europei alle prese con i morsi delle politiche di austerità. Di quella protesta quasi nessuno conserva più memoria. Rajoy ha resistito alla scossa sociale più potente dalla nascita della democrazia spagnola, nel 1976. I dati Eurostat fotografano un Paese ancora in grande affanno. La disoccupazione è intorno al 26% e tocca cifre del 50% fra i giovani under 35. A febbraio, però, per la prima volta dallo scoppio della bolla immobiliare, l'ufficio statistico di Madrid ha registrato 1.949 nuovi occupati. Una goccia d'acqua in un oceano di difficoltà, ma un risultato incredibile se si pensa che in Italia, secondo l'ufficio studi di Confindustria, nel 2014 la disoccupazione è prevista in crescita di 150-200 mila unità. Il miglioramento dell'occupazione in Spagna, quasi impercettibile in termini percentuali, arriva però in un mese che non vedeva il segno meno dal 2007. 
A novembre 2013 la produzione industriale ha messo a segno il salto più deciso da quasi tre anni a questa parte: +2,6% rispetto allo stesso mese del 2012. Buone notizie per Madrid dopo il ritorno al segno più del prodotto interno lordo nel terzo trimestre, trainato da esportazioni e, risultato impensabile per l'Italia, dalla rinascita della domanda interna.
L'occupazione è nel mirino del governo e Rajoy, il 25 febbraio, ha dato una frustata vigorosa. Un intervento energico, senza precedenti e da imitare in Italia: le imprese spagnole che assumono nuovi lavoratori potranno versare 100 euro al mese per due anni a condizione che dopo tre anni trasformino quel contratto a tempo indeterminato. Una flat tax di proporzioni straordinarie, destinata, secondo gli osservatori, a produrre benefici enormi e in tempi piuttosto accelerati.
La decisione di Rajoy non è certo estranea alle considerazioni e alle proposte avanzate da Luca Ricolfi nel suo editoriale su La Stampa di oggi. Il max job immaginato dall'autorevole analista ruota attorno alla necessità di abbattere del 60-70% il costo del lavoro per i nuovi assunti, lasciando intatta la ritenuta previdenziale ma riducendo drasticamente l'aliquota Irpef. Rajoy ha invece deciso di abolire ogni ritenuta fiscale sui redditi fino a 12 mila euro.
La Spagna, potrà obiettare qualcuno, ha margini di manovra di cui l'Italia non può godere. Madrid non sopporta il peso di un debito pubblico al 132,9% del Pil. Vero ma fino a un certo punto. Perché le condizioni del debito pubblico spagnolo, in rapporto alla ricchezza privata sono di gran lunga peggiori di quelle italiane. Il debito pubblico italiano ha un livello di sostenibilità superiore a quello tedesco o francese, se rapportato alla ricchezza delle famiglie. Sennonché, questo raffronto dovrebbe incutere qualche timore, nel senso che di fronte a una nuova tempesta finanziaria si potrebbe aprire la strada a una forma di "prestito forzoso" o, come nel caso di Cipro, al prelievo forzoso di una quota della ricchezza finanziaria privata.

Per rimanere alla Spagna, si deve osservare conclusivamente che l'esecutivo conservatore sta operando con coraggio rispetto alla gravità della crisi e agisce sulla leva fiscale tanto dal lato dei consumi quanto dal lato del contenimento della spesa pubblica corrente. Esattamente la strada che in Italia dovrebbe imboccare Matteo Renzi solo che avesse una maggioranza convinta in tutte le sue componenti.  

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