sabato 15 marzo 2014

LA SFIDA EUROPEA DELL'ITALIA, CHE COSA È CAMBIATO DA BERLUSCONI A RENZI

di Massimo Colaiacomo

Il presidente Renzi sarà domani a Berlino per spiegare alla cancelliera tedesca il significato dei provvedimenti da lui annunciati e che il governo si prepara a tradurre in disegni o decreti legge. Merkel si è fatta precedere dal suo portavoce Steffen Siebert il quale ha definito "ambiziose" le riforme di Renzi. Il termine è abbastanza vago, perché contiene insieme elogi e cautele: si tratta di vedere se e come le coperture indicate da Renzi saranno compatibili con il rispetto dei parametri di deficit e debito. Viene alla memoria l'immagine di Merkel e Sarkozy e del sorriso assassino che si scambiarono a Cannes, nell'ottobre 2011, allorché gli venne chiesto se avessero avuto fiducia negli impegni presi da Berlusconi al vertice europeo. Da allora sono passati tre anni e una domanda sembra d'obbligo: perché la Germania dovrebbe concedere oggi a Renzi quello che allora negò brutalmente a Berlusconi? Che cosa è cambiato da allora?
È cambiato tutto. Sarkozy e la sua tracotanza sono stati spazzati via da Hollande e si è alquanto incrinato l'asse Parigi-Berlino sulle politiche di austerità. Merkel è rimasta alla guida del governo ma ha dovuto riverniciare la Große Koalition del 2005 poiché la schiacciante vittoria elettorale non è stata sufficiente a consegnarle una maggioranza al Bundestag (quando si dice il modello elettorale tedesco!).
Soprattutto, dopo il 2011, ha preso a circolare per l'Europa uno spettro da nessuno previsto e fino allora sottovalutato: l'antieuropeismo. Il sentimento vago di ribellione alle regole di bilancio e all'austerità incarnata dal volto della cancelliera ha finito per prendere forma e sostanza dando fiato a movimenti di vera e propria ribellione. Così all'antieuropeismo tradizionale (si pensi alla Lega Nord in Italia) si sono aggiunte forze nuove, come il M5S. In Francia si è segnalata l'avanzata clamorosa del Front National di Marine Le Pen, erede e successore unico del padre Jean Marie: quel partito figura addirittura in testa ai sondaggi per le elezioni politiche. E dalle urne europee, il prossimo 25 maggio, potrebbe suonare qualcosa di più che un allarme per l'Europa. Trovarsi nel Parlamento di Strasburgo partiti antieuropeisti forti di un 23-28% dei consensi verrebbe letto come una sconfitta clamorosa per l'europeismo e nessuno esiterebbe ad intestarla alla Merkel e, ovviamente, alle sue politiche di austerità.
La Bce, nel luglio 2012, ha dato uno scossone alle pretese dell'Europa del Nord, nell'iconografia tradizionale indicata come l'area virtuosa, varando l'Omt (Outright monetary transaction), vale a dire la possibilità per la Banca centrale europea di acquistare in misura illimitata i titoli pubblici dei singoli Stati sul mercato secondario. L'ottimo Mario Draghi non ha dovuto sparare neanche un colpo dalla pistola. Quella decisione, come ha spiegato lo stesso governatore, altro non era se non l'acquisto di tempo (tre anni) per consentire ai Paesi ritardatari (Italia in testa) di fare quelle riforme strutturali attese dai mercati. Ciò significa che nella primavera 2015 la Bce rivedrà la sua decisione e per quella data Renzi dovrà aver fatto il lavoro che né Monti né Letta sono stati in grado di fare.
Matteo Renzi si presenta perciò al vertice di Berlino con Angela Merkel avendo al suo arco molte di quelle frecce che le circostanze, ma non solo, negarono a Silvio Berlusconi. È verosimile che lunedì, ascoltando il premier italiano che le squaderna i suoi progetti temerari per gli equilibri di bilancio, Merkel guarderà oltre le spalle del suo interlocutore per scorgervi le truppe tumultuanti e bellicose dell'antieuropeismo, mai prima d'ora così organizzate e agguerrite. Sono loro i migliori alleati della strategia pensata da Renzi per scardinare l'ortodossia tedesca sulla stabilità über alles. Può il governo tedesco, alla vigilia delle elezioni europee e con gli antieuropeisti agguerriti anche in casa, liquidare Renzi con una raffica di nein?

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Questa è la scommessa di Renzi. L'abilità machiavellica (in un fiorentino è dote quasi innata) ha portato il premier italiano a volgere in suo favore quella che è vissuta in questo momento come una minaccia. Renzi è salito in groppa alla tigre antieruopea e dice ai tedeschi che per domarla non ci sono alternative alla strada da lui intrapresa. In cambio dell'accettazione della sua visione border line sulla finanza pubblica, Renzi porta nell'altra mano le riforme strutturali: liberalizzazione del mercato del lavoro, dei servizi pubblici locali, tassazione delle rendite finanziarie, riforma degli ammortizzatori sociali. Merkel potrà chiedergli in aggiunta di fare quel lavoro socialmente sanguinoso, sia pure in dimensione ridotta, già fatto da Samaras in Grecia e da Rajoy in Spagna: ridurre il perimetro dei dipendenti pubblici. Insomma, licenziare. E Renzi, in cambio di questi impegni aggiuntivi, potrà mantenere le sue promesse da qui a luglio.

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