giovedì 13 marzo 2014

DA RENZI UN PROGRAMMA ELETTORALE CON TANTO FUMO E POCO ARROSTO

di Massimo Colaiacomo

Consumate tutte le possibili ironie su mega-show allestito a palazzo Chigi dal premier, con una conferenza stampa di 1 ora e 10 dopo un Consiglio dei ministri di appena 1 ora e 45 minuti, l'attenzione deve ora concentrarsi sul senso politico di quegli annunci e sulla loro concreta realizzabilità. Renzi non ha negato che il traguardo temporale della sua azione si spinge fino a luglio (rimborsi della PA), il tempo della campagna elettorale. Che cosa significa? Può significare molte cose: che se il voto europeo del 25 maggio dovesse rimanere sotto le attese (che, furbescamente, Renzi tiene ben nascoste), comincerebbe il count-down per il governo; oppure, se le cose andassero per il verso giusto, Renzi si mette sereno e lavora a un programma  sulle cose davvero realizzabili in un orizzonte temporale più ampio.
Potrà esibire agli elettori la riforma della legge elettorale, il cui dividendo elettorale però non è detto che sia appannaggio esclusivo di Renzi ma forse da condividere con Berlusconi e Forza Italia. In mancanza d'altro, il rischio per Renzi è che gli elettori percepiscano la presenza di Forza Italia come elemento indispensabile per fare qualsiasi cosa.
Entrando nel merito delle misure annunciate con titoli e qualche sommario, ma non ancora tradotte in provvedimenti, si può fare una considerazione di carattere generale. Il giovane Matteo Renzi ripercorre il sentiero ideologico di una sinistra antica e dirigista, abile e spregiudicata nel redistribuire la ricchezza che c'è ma incapace di crearne di nuova. Quale altro è il significato di 1000 euro all'anno per i redditi lordi sotto i 25 mila euro, e l'aumento dell'aliquota fiscale sugli investimenti finanziari dal 20 al 26%?
Di Renzi è antiquato e ideologico il linguaggio, al netto delle moine, degli hastag e di qualche calembour tipo lasvoltabuona. Sono espedienti per allocchi, e qualcuno in giro è rimasto anche se la crisi e la disoccupazione ha svegliato molti illusi. Renzi è vecchio, e ideologico, perché chiama rendite quelli che sono investimenti finanziari. Però capisce che per aumentare le tasse bisogna colpevolizzare chi detiene azioni o fondi di investimento. Dall'aumento fiscale sono esentati i Titoli di Stato, quelli, sì, strumento rifugio per un rentier gaudente e rassicurato da cedole fisse da qui al 2030 o 2040.
Però, come potrebbe aumentare le aliquote fiscali di Btp e Bot avendo l'Italia necessità di rendere allettanti i propri titoli agli occhi degli investitori? Bene, proviamo a rovesciare il ragionamento: come pensa Renzi di attirare capitali stranieri per le società quotate in Borsa se colpisce con maggiori tasse quegli stessi capitali? Si dice: con l'aliquta al 26% l'Italia si allinea agli altri Paesi europei. Falso. In quali altri Paesi, a parte l'Italia, è stata introdotta la Tobin tax? Tobin tax, aliquote al 26%, e spese burocratiche rendono l'investimento in Borsa in Italia oneroso più che in altri Paesi.
Paradosso non ultimo: il taglio dell'Irap del 10%, che vale all'incirca i 2,6 miliardi di maggiori introiti previsti con l'aumento dell'aliquota sugli investimenti, in molti casi produce zero effetti sulle società quotate. Molte imprese, si sa, sono a controllo famigliare. Bene, se un impresa detiene il 55 o 60% delle azioni, dovrà pagare il 26% di aliquota sul dividendo, salvo pagare un po' meno di Irap. I benefici del bilancio societario saranno compensati dai maggiori oneri a carico del principale azionista. Una partita di giro, in apparenza, in realtà un indebolimento della capacità di controllo dei grandi azionisti sull proprietà dell'azienda.
Le promesse di Renzi sono meno vaghe sul lavoro ma decisamente claudicanti sull'apprendistato. Bene l'estensione del contratto senza causale da 1 a 3 anni. Male, molto male, l'idea di limitare al massimo del 20%  la quota di apprendisti rispetto al numero dei dipendenti di un'impresa. Renzi immagina che un imprenditore, già votato al rischio di suo, sia un pazzo scatenato al punto da avere il 90% di apprendisti nel personale. Come potrebbe crescere un'impresa con così scarse competenze? Come potrebbe quell'impresa essere competitiva in un mercato che richiede conoscenze, qualità e affidabilità dei prodotti? Sfido Renzi a trovare un imprenditore, uno solo, che abbia un numero di apprendisti pari al 40 o 50% dei dipendenti. Non esiste al mondo impresa che metta a rischio la qualità dei suoi beni e delle suoi prodotti solo per sfruttare il basso costo del lavoro di un apprendista.

  Anche in questo caso, come si vede, Renzi agisce con la riserva mentale tipica di una sinistra che non sarà più comunist, come immagina Berlusconi, ma rimane sostanzialmente ideologica e lontana dal pragmatismo della modernità.

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