giovedì 30 luglio 2015

GIUSTIZIALISTI ALL'ASSALTO, MA RENZI GIOCA UN'ALTRA PARTITA



di Massimo Colaiacomo

     Il rifiuto dell'Aula del Senato di concedere gli arresti chiesti dalla Procura di Trani per il senatore del Nuovo centrodestra Antonio Azzollini è una pagina importante nella vita del governo Renzi. Lo è per due motivi: perché i senatori hanno votato senza precisi ordini di scuderia, ribaltando il voto della Commissione favorevole all'arresto; perché il Pd ha visto allargare al suo interno la frattura fra le "minoranze" e la maggioranza renziana.
     Ora la vicenda può essere letta nel modo malizioso di molti commentatori come un testacoda del Pd sulla giustizia. Per sostenere, secondo il retroscenismo tanto cara all'informazione italiana, che Renzi non poteva mettere a rischio la sua maggioranza perdendo il sostegno del Ncd nel caso il Senato avesse concesso gli arresti. Le opposizioni hanno cavalcato fino in fondo la tesi dell'uso strumentale del voto, accusando il Pd di aver ceduto ai ricatti di Alfano. Se un foglio come il Giornale arriva ad accusare Renzi di essere nelle mani di Alfano, dopo che per mesi aveva sostenuto una tesi assolutamente opposta, significa che la prima strumentalizzazione del voto di ieri in Senato l'hanno fatta stamane i giornali.
     Non è difficile replicare a chi accusa il PD di essere diventato "garantista per necessità", che anche molti giustizialisti lo sono stati, o diventati, per necessità: Renzi per non ritrovarsi con una maggioranza in fibrillazione, i giustizialisti per lucrare voti e consensi a ogni tornata elettorale. Ha sorpreso che anche Forza Italia, per bocca del suo capogruppo alla Camera, si sia ritrovata su posizioni grilline. Vedere nel voto del Senato l'avvio di uno snaturamento del Pd, come sostiene Brunetta, e non invece l'apertura di un confronto serrato che forse per la prima volta ha visto soccombere le componenti giustizialiste, è un giudizio quanto meno affrettato, se non miope, sicuramente strumentale.
     Se i senatori, o almeno quelli fra di essi che hanno letto le carte processuali sulla vicenda Azzollini, hanno votato per tutelare la maggioranza contro l'evidenza giudiziaria, che cosa dire di quelli che, convinti del contrario, hanno votato a favore dell'arresto al solo scopo di creare ostacoli al governo? È più ragionevole ritenere che il PD abbia deciso di perdere il monopolio giustizialista cedendolo ai grillini, alla Lega e in genere alle componenti radicali del quadro politico. Vicende parlamentari come quella di ieri in Senato sono soltanto la conseguenza dell'assedio che le componenti di sinistra radicale hanno messo al governo pensando, di qui a qualche tempo, di avere forza sufficiente per farlo cadere.
     Giustizialismo, referendum sul jobs act e sul ddl scuola, sono altrettanti capitoli dello sforzo che la sinistra riconducibile genericamente al vecchio mondo comunista sta compiendo nel tentativo di riorganizzarsi. Manca però di una base sociale perché la sfida lanciata da Renzi è tutta concentrata sulle politiche economiche e fiscali e su questo terreno la vecchia sinistra balbetta, impotente a sfornare una ricetta alternativa che non sia l'urlo al cielo di un Varoufakis.
     Tangentopoli è alle spalle degli italiani, anche se rimangono vive le procedure e intatta la capacità della magistratura di condizionare l'agenda politica del Paese. È cambiato però il clima, ed è cambiato con l'espulsione di Silvio Berlusconi dal Senato della Repubblica. Tenere viva quella stagione quando è venuto meno il motore primo che l'aveva alimentata è un'impresa difficile per chiunque, si chiami Grillo o Salvini. Renzi gioca un'altra partita e punta tutte le sue carte sull'economia. Se vince, la giustizia diventerà un terreno di confronto "normale". Se perde, i suoi oppositori, sprovvisti di ricette alternative, dovranno aggrapparsi alla solita "questione morale", cioè a quanto di più immorale ci sia in una democrazia. 
     

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