mercoledì 12 agosto 2015

SE RENZI CAMBIA LE RIFORME PERDE IL GOVERNO E NON AVRÀ LE URNE



di Massimo Colaiacomo

     
     La calura di queste settimane non risparmia la sua foschia al circo della politica. Il dibattito diventa cicaleccio sotto l'ombrellone, le sfide mortali intraviste per l'autunno sembrano surreali pronunciate sotto un solleone che stordisce. Chiuso il Parlamento, il pissi-pissi si trasferisce sui giornali. Quando il Senato si troverà, a settembre, nella stessa condizione del famoso tacchino di Churchill si vedrà se e quanto Matteo Renzi avrà azzardato.
     Da Forza Italia il premier non si aspetta nessun aiuto che non sia un abbraccio politicamente oneroso. Quello che Forza Italia poteva fare lo ha fatto Denis Verdini e il plotoncino di senatori che lo hanno seguito nell'ennesima scissione del partito. Quando i dirigenti di Forza Italia si rivolgono al premier per chiedergli di cambiare la riforma del Senato per conservarlo elettivo e di rimettere mano alla legge elettorale sanno bene, anche se fingono il contrario, che chiedono cose che Renzi o chiunque altro al suo posto non potrà mai concedere. Per la semplice ragione che quelle modifiche richieste dalle opposizioni finirebbero per appannare i confini di una maggioranza già malferma e il governo verrebbe inghiottito nelle sabbie mobili del Parlamento.
     Forza Italia chiede a Renzi cose che sa di non poter ottenere, e forse spera di non ottenerle per non ritrovarsi punto e a capo con un Nazareno comunque mascherato. Renzi non può concedere nient'altro che il misero compromesso escogitato da Gaetano Quagliariello con la "semi elezione" dei senatori in un listino che affianca il listino dei candidati presidente di Regione. Un espediente, uno dei tanti che la politica s'inventa quando è all'angolo. Come potrebbe Renzi tornare sull'elettività del Senato senza compromettere l'intera impalcatura del progetto di riforme, brutto quanto si vuole, ma congegnato per funzionare in quel modo e solo in quello?
     Renzi non può abbandonare il tentativo di ritrovare l'unità del Pd, a maggior ragione dopo l'approvazione dell'Italicum. Siglare un'intesa sia pure temporanea con Berlusconi segnerebbe la rottura definitiva con la minoranza del partito ed esporrebbe il governo ai marosi di un Parlamento a quel punto ribollente. Nello stesso tempo, Renzi non può concedere alle opposizioni interne quello che deve negare a Berlusconi: nel caso dei Cuperlo e dei D'Attorre, però, può usare l'arte della persuasione e della convenienza politica per loro a votare la riforma del Senato e l'art. 2 in particolare.
     Dalle opposizioni di destra possono arrivare a Renzi quei voti che sono "un omaggio alla paura" dei senatori che sanno di non essere ricandidati e dunque sono interessati al proseguimento della legislatura. Se tanti o pochi, è difficile dire al momento: ma è facile intuire che non sono mai molti, per tornare a Churchill, i tacchini disponibili ad anticipare il Natale.
     

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