lunedì 13 luglio 2015

IL SENSO DI SCHAÜBLE PER L'EUROPA

di Massimo Colaiacomo

     I commenti su chi ha vinto e chi ha perso occuperanno ancora per qualche giorno le pagine dei giornali per descrivere la conclusione del duro negoziato fra la Grecia e la Germania, con il contorno degli altri leader europei. Quando la polvere sarà calata, forse si comincerà a guardare oltre la competizione sportiva per cogliere altri profili di una pagina né brutta né bella, ma sicuramente decisiva, nella non breve storia dell'integrazione europea e, magari, si daranno valutazioni un po' diverse sull'opera dei singoli protagonisti. 
     La lunga notte di Bruxelles ha messo in luce un aspetto in particolare: in assenza di una comune visione politica, per non dire di politiche fiscali, sociali e di bilancio ancora tutta da costruire, che cosa può tenere insieme 19 Paesi che hanno nel portafoglio la stessa moneta? Niente altro che un elenco lungo e noioso di regole e pagine altrettanto puntigliose di Trattati. Tutto questo ripugna al sentimento comune, tanto è vero che grazie e contro quei Trattati e quelle regole sono sorti movimenti antieuropeisti e antieuro un po' ovunque, e per molti di loro ci sono stati cospicui consensi elettorali. L'Europa così come è - si sente ripetere - non piace più a nessuno. L'euro - è la litania più gettonata - è una gabbia al cui interno i deboli diventano emaciati e i forti si rinvigoriscono. E via di questo passo.
     Tutto ciò contiene una verità, superficiale quanto si vuole ma innegabile. Ma la verità della situazione non basta da sola a spiegare le cause, non meno vere, che hanno portato all'impasse attuale. Per esempio, si guardi alla questione dei debiti. Quanti Paesi hanno applicato, nei tempi e nei modi previsti dai Trattati, l'opera di risanamento dei conti pubblici da tutti riconosciuta cruciale, al momento di firmare quei Trattati oggi contestati, per avviare solide politiche di crescita? Il Patto di stabilità e crescita, per esempio, da tutti accettato e votato dai Parlamenti nazionali, spiega per filo e per segno come, passando per operazioni incisive di riduzione del debito, si arriva a favorire una crescita del Pil non inflazionistica. Tutti i governi hanno accettato quel Patto e le sue clausole, ma quanti lo hanno implementato nelle rispettive politiche nazionali? Pochi, e nemmeno la "virtuosa" Germania è esente da pecche anche se, va detto per verità di cronaca, è stato il primo e per molto tempo il solo Paese ad avviare per tempo profonde riforme economiche e sociali, nel 2002, con il governo del socialdemocratico Schröder. Riforme realizzate violando per due anni la soglia del deficit, su concessione degli altri partner. Di quelle riforme tutti hanno potuto vedere i risultati. Greci, spagnoli, irlandesi, portoghesi, italiani - insomma il gruppo dei cosiddetti Paesi Pigs - hanno lasciato che il tempo divorasse i buoni propositi annunciati ma sempre rimasti sulla carta. Alcuni di loro si sono mossi, con grave ritardo, quando già nell'opinione pubblica era diffusa la percezione che i sacrifici sarebbero stati evitati.
     È stato bruciato tempo prezioso per quei Paesi ma quel tempo d'inerzia dei governi è diventato la culla dei movimenti antieuropeisti e antieuro. Grillini, lepenisti, Podemos e leghisti hanno lucrato successi elettorali importanti e crescenti nel tempo, in misura direttamente proporzionale alle politiche di austerità, a mano a mano che queste uscivano timidamente dal limbo delle intenzioni per diventare con ancora maggiore timidezza atti di governo. Uno di questi movimenti antieuropeisti è diventato addirittura forza di governo ad Atene. Siryza e il suo leader Alexis Tsipras sono nati ad Atene non per colpa dell'Europa o di Angela Merkel, ma come risultato dell'ignavia dei governi ellenici. Si può dire che Siryza è il prodotto del fallimento dell'intera classe dirigente greca. Si dirà: ma allora perché movimenti antieuropeisti sono sorti anche in Finlandia, in Germania, in Belgio e in Olanda? Per le ragioni esattamente opposte a quelle di altri movimenti: il Nord Europa vive con sofferenza la presenza di Paesi visti come il regno della "pigrizia" e del "dolce far niente". Qui, nell'aria mediterranea, si vive come una provocazione insostenibile il rigore finanziario d'impronta teutonica.
     Al punto che nell'immaginario collettivo, con l'aiuto anche dei "media", si sono scambiati ruoli e personaggi del dramma greco. Wolfgang Schaüble, europeista della prima ora, animato da un'incrollabile fede nel comune destino del Continente, è uscito raffigurato soltanto come un ostinato ragioniere che difende l'arida verità dei numeri. Al suo posto, la flessibile cancelliera è apparsa come la mediatrice attenta alle differenze e preoccupata di salvare il salvabile. Pochi si sono chiesti se è più genuino un europeista preoccupato che tutti i Paesi siano messi nella condizione paritaria per cogliere le opportunità di un risanamento duro dei conti pubblici o, al contrario, chi ritiene che siano tollerabili concessioni e distinzioni, insomma un'Europa a geometria variabile, per risultati e tempistica.
     Schaüble ha riaffermato, con più vigore di chiunque altro, che l'adesione piena e convinta allo spirito dei Trattati insieme al loro rispetto puntiglioso, è la premessa in grado di accelerare tutte le politiche di convergenza senza le quali non ci sarà mai un'autentica unione politica. Mentre la cancelliera si batteva per salvaguardare la sua immagine in Germania, Schaüble si è battuto per salvare l'Europa e, un po', anche per salvare la Germania da se stessa.

Nessun commento:

Posta un commento