giovedì 16 luglio 2015

TSIPRAS, LA METAMORFOSI DI UN TRIBUNO

     Il premier greco, diversamente dalle nostre previsioni, ha sorpreso tutti: ha accettato le dure ricette imposte dalla Bce, non si è dimesso, è andato in Parlamento a cercare una nuova maggioranza e l'ha trovata. Il suo obiettivo: salvare la Grecia, anche a costo di polverizzare il suo partito e rinnegare il programma con cui vinse le elezioni a gennaio. Un percorso opposto a quello di Berlusconi che non riuscì, nel novembre 2011, a trasformarsi da tribuno a leader preferendo passare la mano a Mario Monti e votando tutte le leggi che lui, Berlusconi, non era stato in grado di proporre


di Massimo Colaiacomo

     Alexis Tsipras non si è scansato davanti al toro della trojka: lo ha preso per le corna, lo ha portato nel Parlamento greco e lo ha domato con un voto a larga maggioranza. Per farlo ha spaccato il suo partito, si è messo alle spalle il trionfo elettorale di gennaio, ha calpestato l'esito del referendum che aveva bocciato il "piano Juncker" ed è salito, con piglio cesarista, sulla tolda di comando. Ha salutato l'esuberante e inconcludente ex ministro delle Finanze e ora si prepara ad affrontare una navigazione burrascosa, in Europa ma soprattutto nel suo Paese.
     Nella liturgia cara alla sinistra, Tsipras è un traditore. Ma nella liturgia europea, ormai largamente prevalente, Tsipras è un "miracolato", un ribelle redento sulla via di Bruxelles. Fra la notte di domenica 12 e l'alba di lunedì 13 luglio a Bruxelles si è compiuta una conversione il cui significato, prima ancora che politico, ha un valore iconologico. Mai prima di allora un premier greco era stato per tanto tempo e tanto intensamente a contatto con altri capi di governo di Stato e mai prima di quella notte aveva tanto a lungo conversato e litigato con un cancelliere tedesco. Quelle 17 ore trascorse in quella vasta comunità che una letteratura populace disprezza come euro-tecnocrazia hanno restituito alla Grecia un leader profondamente mutato nella sua visione delle cose non certo nel loro significato.
     Tsipras ha compreso che cosa significhi essere il leader di una nazione. Ha capito che un leader non è tale perché strappa applausi a folle osannanti o perché riporta successi elettorali. Tutte condizioni necessarie in democrazia e all'interno dei confini nazionali. Oggi essere leader, in un Paese europeo, presuppone la capacità di mettere gli interessi del proprio Paese davanti allo stesso Paese, e mettere una distanza, che può essere anche distorsiva, fra il senso della propria missione e il consenso degli elettori. Perché un leader che vive di sondaggi è destinato a essere travolto dai sondaggi, diversamente da chi esercita la statesmanship incurante del consenso.
     Dal consenso plebiscitario tributato da una piazza ribollente alla sfida di un potere da esercitare in condizioni di solitudine il passaggio non è facile per nessuno. Molti preferiscono evitarlo, come è accaduto a Silvio Berlusconi. Il quale, nel novembre 2011, evitò di prendere il toro per le corna, cioè sfidare il Parlamento con un programma di tagli alla spesa, e preferì passare la mano a Mario Monti per votare uno per uno tutti i provvedimenti presi da Monti. In quell'occasione è tramontata definitivamente ogni capacità di leadership di Berlusconi. Il tribuno non seppe trasformarsi nel leader che le circostanze richiedevano.
     È ovvio che la sfida davanti a Tsipras e alla Grecia è soltanto all'inizio. Il debito greco è da tutti riconosciuto unbearable e nessun soggetto politico o istituzionale può muovere un dito per ristrutturarlo in conto capitale. Si può riscadenzare, forse, si possono negoziare le condizioni dei tassi, ma un haircut è impossibile perché è un debito verso istituzioni (Bce e Fmi) non autorizzate dai loro regolamenti a effettuare prestiti monetari. La Grexit è un'opzione che non piace a nessuno, ma è anche una ipotesi non del tutto tramontata. Si sa come la pensa Schaüble, europeista indomabile e arcigno, che la preferisce a qualunque altra soluzione che dovesse protrarre all'infinito il dramma greco. Il dilemma davanti a cui si trova l'Europa è questo: come chiudere una volta per tutte la vicenda del debito greco. La strada diventa a questo punto ininfluente, perché l'unica cosa sicura è che l'eurozona rischia di saltare se si trascina nell'incertezza come ha fatto in questi sette anni di crisi.

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