mercoledì 18 giugno 2014

SULLE RIFORME RENZI HA RISCRITTO IL PATTO CON LA LEGA

di Massimo Colaiacomo

    Il cosiddetto "Patto del Nazareno" siglato da Berlusconi e Renzi nel febbraio di quest'anno rimane un passaggio chiave di questa convulsa stagione politica. I contenuti di quel patto, o almeno quelli resi noti, prevedevano alcune riforme: quella del Senato, non più eleggibile e ridotto a organo rappresentativo di secondo livello; la riforma del Titolo V, con una migliore ridefinizione delle competenze di Stato e Regioni e la riduzione delle materie concorrenti; la riforma elettorale, approdata poi a quello che molti considerano un obbrobrio, il cosiddetto Italicum. Né la riforma presidenzialista della Repubblica né altri cambiamenti della Costituzione sono stati negoziati in quella sede.
    Il Patto è stato co cordato da due esponenti politici non parlamentari, ma leader dei rispettivi partiti: legittimato Silvio Berlusconi dal voto popolare, ma delegittimato dalle sentenze di condanna per Mediaset; legittimato dalle primarie del suo partito ma non dal voto popolare era invece Matteo Renzi.
    Quattro mesi dopo, la condizione personale dei due leader è profondamente mutata: Matteo Renzi, divenuto nel frattempo presidente del Consiglio, ha ricevuto un plebiscito popolare, raccogliendo il 41% dei voti alle europee; Berlusconi, dopo le sentenze della magistratura, è stato condannato anche nelle urne con il suo partito crollato al 16 e qualcosa per cento.
    Se muta radicalmente lo status dei contraenti, un Patto politico non ancora trasformato in legge del Parlamento può dirsi ancora valido? E in che misura il più forte dei contraenti potrà pretendere modifiche e aggiustamenti confidando nell'assenza o nella debolezza della reazione della controparte? Il potere del vincitore, nel nostro caso, risulta oltremodo accresciuto dall'improvvisa conversione riformista di forze come la Lega Nord e, soprattutto, il M5s di Beppe Grillo.
     Se quelle di Grillo sono aperture in parte strumentali e in parte provocatorie (il ritorno al proporzionale ha ottenuto il benestare della Lega ma si sa che stuzzica anche i desideri in FI e Pd per non dire dei cespugli centristi), quelle della Lega Nord sono vere e proprie disponibilità politiche che il lesto Calderoli ha già trasformato in emendamenti d'intesa con l'altro relatore del provvedimento, Anna Finocchiaro. Come leggere queste convergenze se non come un allargamento del Patto del Nazarenosoggetti politici e come la conferma della crescente marginalità di Forza Italia al tavolo delle riforme?
     La sortita presidenzialista di Forza Italia ha il sapore di un gesto disperato. Concepita da Berlusconi per portare il partito fuori dall'angolo e recuperare un minimo di visibilità, la proposta berlusconiana nasce senza capo né coda. Basterà pensare al marameo ricevuto ieri in Commissione da Calderoli e Finocchiaro che hanno concordato l'emendamento per definire la composizione della platea parlamentare per l'elezione del Capo dello Stato. È penoso quanto si vede in queste ore: Berlusconi tenta il rilancio in una partita che Renzi ha aperto con lui a febbraio e chiuso con la Lega a giugno. Se Berlusconi sfoglia i giornali di qualche tempo fa potrà leggervi il giudizio impietoso di Matteo Salvini, al quale FI ha reso omaggio come nuovo king maker del centrodestra firmando due referendum, che dell'ex Cav ha detto testualmente: ha ottant'anni, farebbe bene a ritirarsi. Questi sono gli alleati coltivati da Berlusconi e dalla sua corte piuttosto malmessa in arnese.

Nessun commento:

Posta un commento