giovedì 26 giugno 2014

GRILLO E MERKEL, INSIDIE DIVERSE MA STESSA SFIDA PER RENZI

di Massimo Colaiacomo

Ricapitolando: Matteo Renzi intende tener fede al patto del Nazareno con Silvio Berlusconi. Quindi la riforma del Senato, con la non eleggibilità dei senatori; il modello elettorale dell'Italicum, dunque niente preferenza e listini corti ma bloccati insieme alla certezza che la sera dell'eventuale ballottaggio si sappia quale partito o coalizione di partiti governerà l'Italia; la riforma del Titolo V, con l'eliminazione o almeno la riduzione delle materie "concorrenti", cioè quelle in cui lo Stato programma e la Regione gestisce.
Messa così si direbbe che tutto è a posto. La realtà però è più complessa. Dopo l'inconro con la delegazione M5s, Renzi può a giusto titolo rivendicare di aver infranto il muro di incomunicabilità dietro il quale prosperava il grillismo. Diciamo pure una sorta di "arco costituzionale" rovesciato, nel senso che Grillo aveva fatto della sua autoesclusione dal "sistema" il punto di forza da cui lucrare consensi anti-sistema.
Il tavolo è saltato con il voto europeo. Grillo si è dovuto piegare di fronte al risultato elettorale e aprire il dialogo con il governo è diventata per lui una necessità per sopravvivere. Una necessità non è ancora una scelta politica, cioè non comporta atti politici frutto di una matura convinzione. I grillini potrebbero in qualunque momento abbandonare il confronto e tornare in trincea. Al momento non accadrà perché il loro obiettivo è di incrinare quel patto con Berlusconi che, è vero, appare blindato, ma rispetto al quale Renzi non vuole sentirsi le mani legate più di tanto. Allora ecco la possibilità di alzare la soglia al 40% e, di conseguenza, accettare una soglia unica di accesso al Parlamento intorno al 4%. Le preferenze, no: non sono state concordate con Berlusconi anche se il Cavaliere non avrebbe la forza di rovesciare il tavolo lasciando via libera a Grillo. Renzi diffida al massimo di Grillo, e fa bene. Rompere l'intesa con Forza Italia significherebbe consegnarsi nelle mani di un personaggio imprevedibile e rocambolesco come il comico. Ma utilizzare il grillismo per ritoccare il patto in termini più vantaggiosi per il Pd, questo è possibile.
Da qui a metà luglio, quando Renzi conta di incassare il via libera del Senato alla riforma costituzionale, il governo dovrà affrontare anche lo spinoso dossier delle nomine europee e, in particolare, fare di conto con il muro inscalfibile della Germania sulle regole fiscali.
La flessibilità invocata da Italia e Francia e accettata, almeno in apparenza, da Berlino, è un termine che indica cose diverse nei tre Paesi. Per l'Italia la flessibilità dei parametri del Fiscal compact è da interpretare come la possibilità di rinviare nel tempo il pareggio di bilancio (al 2016) e prendere più tempo per aggredire il debito "monstre". Per Berlino, al contrario, la flessibilità va cercata all'interno di quei parametri e più esattamente mettendo in campo riforme strutturali radicali e incisive, capaci di incidere sui flussi di cassa della spesa pubblica. Come fare? Merkel non lo dice, ma il suo pensiero va alla Spagna e alla Grecia come per dire a Renzi: ecco come fare.
Renzi dovrebbe fare qualcosa che lo metterebbe in aperta contraddizione con l'oceano di consensi raccolti il 25 maggio. Dovrebbe alleggerire gli organici dell'amministrazione pubblica, possibilmente senza pensionamenti anticipati; tagliare ulteriormente i trasferimenti agli Enti locali e rivedere l'autonomia di spesa delle Regioni; ridurre la spesa sanitaria aumentando il concorso dei lavoratori con i ticket. Renzi dovrebbe, insomma, fare l'esatto contrario di quello fin qui annunciato.
Il centrodestra italiano rifiuta un simile schema e diventa supporto, non si sa quanto involontario, al velleitarismo di Renzi. Tutto in nome della resistenza al potere straripante della Germania. Viene da chiedersi se la Spagna, il Portogallo, la Grecia, l'Irlanda hanno accettato supinamente lo strapotere tedesco inchinandosi ai diktat della cancelliera Merkel. Nessuno però che si chieda perché quegli stessi Paesi, pagando prezzi socialmente rilevanti, si trovano oggi in condizioni nettamente migliori rispetto all'Italia e con una capacità competitiva superiore. La crescita è rimasto un problema soprattutto italiano e francese. Cioè dei due Paesi che più tentennano sulla via delle riforme. Non è per caso.

 

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