domenica 15 giugno 2014

M5S E LEGA APRONO A RENZI, BERLUSCONI SPALLE AL MURO

di Massimo Colaiacomo

Il tempo che scorre e la conclusione che si allontana sono i due elementi che stanno complicando la partita delle riforme. L'apertura di Grillo sulla legge elettorale e la richiesta di un incontro al PD non manda gambe all'aria il già traballante accordo del Nazareno fra Renzi e Berlusconi ma sicuramente allunga i tempi dell'esame parlamentare e, soprattutto, riapre le ferite non del tutto rimarginate dentro il partito di maggioranza a lungo diviso sul rapporto con i grillini.
La mossa di Grillo, imprevista ma non del tutto imprevedibile, è un puro espediente tattico per mettere un bastone fra le ruote a Grillo. Ben altra è la portata politica dell'apertura del leader leghista, Matteo Salvini, pronto a discutere della riforma del Senato e a fornire i numeri eventualmente mancanti in Aula. Sia la mossa Grillo che la disponibilità concreta di Salvini mirano, sia pure per ragioni differenti, a neutralizzare il peso di Forza Italia nella partita per le riforme. A quattro mesi dalla sua nascita, il Patto del Nazareno sembra ormai al capolinea. Berlusconi, fino a ieri scettico sulla possibilità di un nuovo rendez-vous con il premier, dovrà rivedere i suoi piani se vuole salvaguardare il potere negoziale di Forza Italia. Diversamente, condannerebbe il suo partito alla marginalità politica.
L'improvvisa abbondanza di forni da cui attingere è una fortuna per Renzi ma, a ben vedere, nasconde anche qualche rischio. Con la nomina di Orfini alla presidenza del PD, Renzi ha chiuso, almeno per il momento, le laceranti dispute interne. Questa circostanza gli consente una grande libertà di manovra sul piano parlamentare ma al tempo stesso lo espone ai venti di un quadro parlamentare in rapido movimento.
I fautori nel PD di un accordo con Grillo sono ridotti al silenzio ma non del tutto spariti. Certo, Grillo vuole discutere di una legge elettorale proporzionale e già questa premessa rende agevole il rifiuto di Renzi a qualsiasi accordo. Ma l'insidia maggiore, a ben vedere, viene dal grave indebolimento di Berlusconi. Il contraente dell'accordo del Nazareno si scopre all'improvviso isolato e il suo rifiuto a costruire una posizione comune del centrodestra, mettendo allo stesso tavolo quanto meno Salvini e Meloni, per non dire di Alfano, sulla legge elettorale e sulla riforma del Senato si rivela adesso un grave handicap. Berlusconi ha concluso quell'accordo con Renzi quando Forza Italia era ancora un partito del 21%; la Lega disponeva del 4% e Beppe Grillo aveva scelto di restarsene chiuso in un angolo.
Quattro mesi dopo, tutto è cambiato. Berlusconi rinvia alla battaglia presidenzialista l'appuntamento per rimettere insieme il centrodestra. Ma rischia di essere un appuntamento tardivo e inutile se, nel frattempo, Renzi avrà chiuso con la Lega un accordo sulle riforme già all'esame del Senato. La tentazione presidenzialista è ben presente in Renzi, ma inserirla nelle procedure già avviate significa accettare un allungamento dei tempi e un rinvio alle calende greche con le riforme promesse e attese dai mercati e almeno dal 40,8% di elettori.
Rilanciando il presidenzialismo, Berlusconi ha tentato un diversivo per riconquistare un minimo di posizionamento strategico al suo partito. Ma il colpo sparato rischia di mancare il bersaglio: Renzi ha nel tempo un nemico temibile e difficilmente potrà accettare di allungare il brodo delle riforme senza esporsi al logoramento o, come lui ama dire, finire risucchiato dalla palude. Renzi ha invece tutto l'interesse a capitalizzare con Forza Italia le disponibilità al dialogo piovute in queste ore sul suo tavolo: Berlusconi non è in condizione di dettare condizioni ma, al dunque, si trova all'angolo e per lui si tratta di decidere se prendere o lasciare quel che Renzi è disposto a concedere. 

     

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