giovedì 12 giugno 2014

DA FORZA ITALIA AL PARTITO CONTADINO POLACCO, LA PARABOLA DEL BERLUSCONISMO

di Massimo Colaiacomo

"I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza": si chiudeva così il telegramma del Comando generale, firmato dal generale Armando Diaz, datato 4 novembre 1918 ore 12. Secondo alcuni osservatori, questa chiusa (che il colto militare Diaz aveva ripreso pari pari da un passo del De bello gallico di Giulio Cesare) potrebbe ben adattarsi alla descrizione dello stato in cui versa Forza Italia. Lo smarrimento e il cupio dissolvi che si è impadronito del suo gruppo dirigente, malamente mascherato da piccole schermaglie polemiche all'indirizzo del governo, è la spia accesa di un'implosione ormai alle porte. Il tonfo elettorale alle europee, e la sconfitta ancora più bruciante alle comunali, hanno fatto da detonatore a una situazione diventata politicamente precaria dopo l'uscita dalla maggioranza del governo Letta.
Sullo sfondo, ad amplificare queste difficoltà, si staglia il paesaggio di rovine in cui si agitano alcuni dei principali protagonisti della stagione berlusconiana. Da Dell'Utri a Matacena, da Cosentino a Scajola fino al più recente scandalo che ha investito Giancarlo Galan, guardare indietro per Berlusconi significa scorgere un cumulo di macerie, politiche prima ancora che morali. E tutte quelle vicende sono lì come altrettanti atti d'accusa contro Silvio Berlusconi, unico e inavvicinabile deus ex machina di anni vissuti con baldanzosa dissennatezza.
È il sipario che cala su una lunga stagione politica per il cui bilancio è prematura ogni valutazione. Rimane in piedi il suo principale protagonista. A quanti negli anni passati pronosticavano imminente la fine di Berlusconi ma più lenta e travagliata quella del berlusconismo, la realtà ha dato una replica sorprendente: la stagione del berlusconismo è finita, ma Silvio Berlusconi è lì, sulla scena, anche se di lato e non pù sotto i riflettori.
Per fare che cosa? Non certo per riorganizzare il partito. Meno ancora per riunificare il centrodestra dal momento che proprio la sua presenza, causa delle tante scissioni dal PdL, è vissuta come il maggior impedimento per la rinascita del centrodestra. Il possibile obiettivo di Berlusconi è molto più modesto, e saggiamente proporzionato alle residue forze in campo (non piccole sul piano dei numeri, ma politicamente e socialmente irrilevanti): costituire un partito dell'8-10% formato dalla "guardia pretoriana", da coloro abituati a obbedire, combattere e tacere e farne una costola sulla "destra" dello schieramento. Insomma, una riedizione del Partito contadino polacco che negli anni '50 prima Bierut e più tardi Gomulka e Gierek indicavano al mondo come esempio di pluralismo politico del regime comunista.
Se davvero è questo l'obiettivo di Berlusconi non ci sarebbe da sorprendersi. Un piccolo presidio parlamentare, a guardia di precisi interessi aziendali, alleato del "renzismo" trionfante e ormai saldamente insediato nel cuore della società. Con il vantaggio, per Renzi, di neutralizzare ogni opposizione alla sua destra.
È evidente che il successo di un tale progetto, al quale si dice Berlusconi stia lavorando con i suoi più stretti collaboratori, riposa su un meccanismo elettorale calibrato sulle esigenze del Pd e, di risulta, sulle nuove, più contenute dimensioni dei resti di Forza Italia. Allora ecco che una legge elettorale basata su collegi uninominali con il sistema maggioritario, a un turno, potrebbe essere la risposta giusta. Per Forza Italia si aprirebbero due opzioni possibili: o presentarsi in alleanza con Renzi oppure, più probabile, immaginare accordi di desistenza molto forti ed eleggere propri candidati fintamente autonomi ma in realtà dipendenti dal Pd.
Un simile scenario può sembrare oggi inverosimile, ma potrebbe esserlo assai meno fra qualche mese. Berlusconi, in sostanza, avrebbe il compito di impedire la riunificazione del centrodestra e la costituzione di un'alternativa politico-culturale al renzismo.

Sarebbe in ogni caso un'uscita di scena poco decorosa sul piano politico. L'uomo che riuscì nel miracolo, vent'anni fa, di riunire quello che la storia aveva a lungo diviso, dovrebbe, vent'anni dopo, trasformarsi nel cuneo che impedisce una nuova riunificazione del centrodestra. Un parabola davvero triste per il protagonista di clamorose vittorie elettorali mai tradotte in solide e credibili politiche di governo. È invece sicuro che una simile strategia lascerebbe aperta la questione di ricostruire un centrodestra credibile, europeo ed europeista, come si trova in tanti Paesi dell'Unione europea.

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