sabato 14 giugno 2014

NEL PAESE DEI PRESIDENZIALISTI IMMAGINARI

di Massimo Colaiacomo

La Costituzione può essere cambiata soltanto dal Parlamento. Il referendum propositivo non è contemplato fra gli strumenti del riformismo. Quello confermativo è obbligatorio ma solo nel caso le modifiche alla Costituzione vengano approvate dalla maggioranza semplice delle due Camere. Invece "non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti" (comma 2, art. 138).
Nel Paese dei "presidenzialisti immaginari" il dibattito sul presidenzialismo è ricorrente ma mai fondato su motivazioni serie e mai considerato come parte di un'architettura istituzionale articolata e complessa. Esso è piuttosto evocato di volta in volta per ragioni tattiche e di bottega politica: a Berlusconi come a Renzi non importa un fico secco del presidenzialismo. Che sia così lo confermano le loro stesse parole: per Renzi "se ne può parlare"; per Berlusoni è "lo strumento per riunire i moderati". Fra il disincanto del primo e le ragioni di pura convenienza politica del secondo non c'è una grande differenza. L'elezione popolare del Capo dello Stato è un fatto accessorio e utile per altre obiettivi. Manca in Renzi e manca in Berlusconi un intimo convincimento sulla ineluttabilità di quel passo, sulla sua forza dirompente capace di risollevare le sorti della Repubblica e imprimere una svolta, se non proprio arrestare, il declino civile dell'Italia.
Dei due è sicuramente Berlusconi ad alimentare la confusione maggiore. Ha fatto una campagna elettorale per le europee invocando fra le altre riforme la concessione di maggiori poteri al premier. Senza minimamente curarsi della contraddizione fra un premier con più poteri e un presidente della Repubblica eletto dal popolo. La geografia della balance of power è del tutto estranea alla view berlusconiana delle istituzioni. Se eletto dal popolo, sarà il Capo dello Stato ad esercitare il potere esecutivo, tutt'al più delegando un primo ministro di sua assoluta fiducia. In ogni caso, il potere esecutivo si trasferirebbe da Palazzo Chigi al Quirinale o, quanto meno, verrebbe esercitato in condomino (circostanza peraltro realizzata con i governi Monti e Letta).
L'opzione presidenzialista non ha mai avuto un grande seguito sul piano politico-culturale. La minoranza laica all'Assemblea costituente (Leo Valiani, Tommaso Perassi, Randolfo Pacciardi) tentò di aprire il confronto ma l'idea venne accantonata con la motivazione che il ventennio fascista escludeva allora e per sempre una forte concentrazione di poteri nelle mani di una persona, per di più in presenza di check and balances ancora da inventare.
Che poi il presidenzialismo sia destinato a tornare molto presto nei cieli dell'iperuranio dai quali Berlusconi lo pesca di tempo in tempo è dimostrato dall'assenza totale di ogni riflessione sul contesto istituzionale e procedurale che dovrebbe accompagnare una simile e radicale modifica. Per esempio, può un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo rivolgersi a un Parlamento di nominati dalle segreterie dei partiti? Due fonti di legittimazione tanto differenti, diretta la prima e ricattatoria la seconda, a quale squilibrio di poteri esporrebbero la Nazione?
Dove il presidenzialismo vige, la bilancia dei poteri ha costruito degli istituti di garanzia inammaginabili in Italia. Se il Congresso americano blocca il budget, il presidente degli Stati Uniti deve acconciarsi a una faticosa mediazione, alla ricerca dei consensi indispensabili. La Costituzione gli dà i poteri e insieme ne disegna i limiti entro cui vanno esercitati. L'Italicum o il Porcellum che poteri riconoscono al Parlamento e ai singoli parlamentari nei confronti di un presidente eletto dal popolo? Sono questioni neanche minimamente sfiorate dalle proposte grossières fin qui ascoltate.
Sono queste considerazioni ad alimentare un sano e realistico scetticismo sulla possibilità che la riforma presidenzialistica possa fare anche solo un passo avanti. Con il risultato che altro tempo verrà perso e sottratto alla ricerca di soluzioni più consentanee alla tradizione politico-istituzionale italiana. Come il cancellierato tedesco o una semplice ma non meno efficace razionalizzazione dell'attuale ripartizione dei poteri da accompagnare a una rivisitazione degli istituti di garanzia. 

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