giovedì 12 giugno 2014

LA "DEMOCRAZIA" DI RENZI LEGITTIMA QUELLA DI GRILLO

di Massimo Colaiacomo

Qualcuno comincerà a chiedersi se esista qualche differenza fra la concezione della democrazia di Beppe Grillo e quella di Matteo Renzi. Per il comico è la "rete" a decidere su ogni questione e su ogni tema, i parlamentari devono limitarsi ad eseguire quello che gli internauti registrati decidono di volta in volta. Per Renzi, invece, sono gli elettori, con il voto plebiscitario del 25 maggio, che hanno avallato la direzione di marcia del segretario-premier. In entrambi i casi, i parlamentari devono adeguarsi alla volontà degli elettori. Quelli di Grillo sono in mobilitazione permanente, e dunque devono decidere di volta in volta; quelli di Renzi si sono pronunciati una volta, con il voto europeo, e da lì il premier fa discendere una legittimazione permanente per assumere qualsiasi decisione.
Tanto per Renzi quanto per Grillo, il Parlamento altro non è se non la cassa di risonanza di una volontà che si forma altrove - sulla "rete" o nelle urne - e deve perciò potersi manifestare nelle Aule parlamentari senza incertezze o sfumature. Grillo lascia che sia la rete degli iscritti a pronunciarsi. Renzi si è pronunciato, gli elettori lo hanno plebiscitato e dunque i parlamentari devono adeguarsi alla risposta affermativa data dagli elettori al premier. Non possono frapporsi fra l'uno e gli altri senza con ciò distorcere la volontà elettorale della quale il premier diventa l'unico, legittimo interprete.
È evidente che siamo in presenza di una modificazione profonda, prima ancora che della Costituzione che riconosce al parlamentare (art. 67) l'esercizio delle proprie funzioni "senza vincolo di mandato". Il pugno di ferro nel gruppo del PD al Senato costituisce senz'altro un'aperta violazione di questo articolo: con la rimozione forzata di Corradino Mineo e Vannino Chiti, e ieri la rimozione forzata di Mario Mauro, dei Popolari per l'Italia, si è di fatto realizzata una forzatura della Costituzione senza precedenti nella storia parlamentare.
Fare le riforme è l'obiettivo che il governo si è assegnato ed è giusto perseguirlo avendo su questo ricevuto il mandato pieno degli elettori. Fare le riforme nel rispetto della Costituzione è impossibile. Prima di Renzi ci avevavo provato i "saggi" voluti dal Quirinale e avevano messo a punto una procedura "forzata" dell'art. 138 della Costituzione. Allora e oggi, abbiamo acquisito la conferma che la Costituzione è stata concepita come un monolite e resa pressoché impenetrabile a qualsiasi opera di riforma.
Il sospetto è che i Padri costituenti, già nel 1946, diffidassero ... dei figli. Come impedire che si facciano del male o ne facciano all'Italia? Battute a parte, l'irriformabilità di una Costituzione o la sua riformabilità possibile solo aggirandone i vincoli e forzandone le norme è l'ulteriore conferma che l'Italia si era dotata di una Costituzione nient'affatto "la più bella del mondo". Allora ha ragione Renzi a tentarne la forzatura? No, Renzi ha torto marcio oggi, come ieri ce l'aveva Berlusconi e prima ancora il centrosinistra in versione ulivista, nel 2001.

La migliore riforma della Costituzione è quella che può scaturire da un Parlamento che la voti ma solo a maggioranza così da sottoporla a referendum popolare e lasciare che sia la maggioranza degli italiani a decidere. La Costituzione del 27 dicembre 1947 fu redatta dall'Assemblea costituente eletta con sistema proporzionale ma non fu mai sottoposta a referendum poiché l'Assemblea costituente, eletta con poteri redigenti, riassorbiva in sé una volontà popolare espressa "ante quem". Renzi ha interpretato il voto del 25 maggio come un mandato illimitato degli elettori a fare le cose che lui ritiene urgenti fare per cambiare l'Italia. È soltanto un'altra delle conseguenze prodotte dal Porcellum un meccanismo che ha introdotto in modo surrettizio il vincolo di mandato per i parlamentari. Essendo scelti e messi in lista direttamente dal leader di partito, a chi altri se non a lui devono rispondere? Gli elettori, cioè i cittadini perdono così due volte: il Parlamento non ha più poteri di intervento sulle iniziative del governo e il governo, costruendo una maggioranza di due terzi in Parlamento, può cambiare la Costituzione senza passare dal referendum popolare. Esattamente come nel 1947, solo un po' peggio.

1 commento:

  1. La riforma proposta dal governo ha avuto il via dallàssemblea del PD dopo 70 ore di discussione.Qui é la grande differenza.La linea governativa ha vinto e la minoranza invece di accettare la sconfitta vuole dettare la linea.Per questo Mineo é fuori.Giustamente.Puó proporre cambiamenti alle camere ma sulla linea uscita vincente nel partito.

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