mercoledì 18 giugno 2014

IL TEMPO È DENARO, E BERLINO REGALA TEMPO A RENZI

di Massimo Colaiacomo
Il destino del governo Renzi è legato a doppia mandata alle riforme: farle, e in tempi rapidi, significa acquisire titoli presso la Commissione europea; farle bene, e credibili, significa ottenere dall'azionista di riferimento della UE, Angela Merkel, una dilazione dei tempi. Sembra essere questo il senso delle dichiarazioni rese tamane dal portavoce di Merkel, Steffen Seibert, rispondendo, durante la conferenza stampa settimanale, a una precisa domanda sulla proposta di Sigmar Gabriel, il ministro socialdemocratico dell'Economia.
Che cosa ha suggerito Gabriel? In una conversazione con la Bild Zeitung, Gabriel ha avanzato una proposta per così dire di tipo cronologico: dare tempo a Italia e Francia per fare le riforme incisive attese dal resto d'Europa. "Ci vuole più onestà nel dibattito. Noi tedeschi oggi stiamo meglio di molti altri Stati perché - ha ricordato Gabriel - con l'Agenda 2010 di Schroeder ci siamo imposti un duro programma di riforme. Ma anche allora abbiamo avuto bisogno di tempo per ridurre il debito. Il ministro dell'Economia socialdemocratico ha ripreso un'idea lanciata nei giorni scorsi a Tolosa. "Un'idea potrebbe essere che coloro che riformano i loro Stati ottengano più tempo per l'abbattimento del deficit. Quindi riforme vincolanti in cambio di più tempo nell'abbassamento del deficit". Su questa posizione il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble ha già fatto sapere attraverso un portavoce di non essere d'accordo: "Il patto di stabilità e crescita contiene già abbastanza flessibilità", è stata la replica, e le regole "vanno rispettate come sono, perché in gioco c'è la fiducia" nell'euro.
Schaüble è incrollabile nel suo ruolo di guardiano della stabilità monetaria. Ma l'apertura di un dibattito tanto vigoroso in seno al governo tedesco è la spia di un disagio che monta a Berlino, anche a seguito dei risultati elettorali del 25 maggio. In fondo, la concessionedi più tempo ai governi italiano e francese per varare le riforme non è un cedimento all'Italia né costituisce una violazione "quantitativa" del Patto di stabilità e crescita. Semmai ne rappresenta una diluizione temporale, senza rimetterne in discussione gli obiettivi.
In questa direzione è sembrato andare lo scaltro Seibert, nella conferenza di stamane, quando in risposta a una domanda ha precisato che Angela Merkel e Matteo Renzi ''sono unitinella convinzione che servono crescita e lavoro. E si può ottenere attraverso tre cose: riduzione del deficit, riforme e mantenendo fede a ciò che si è concordato. Perché è una questione di fiducia nell'Europa''. Per concludere che nel governo tedesco "c'è unità sul fatto cheil patto di stabilità e crescita non debba essere cambiato''.
Parole chiare non meno dei sottintesi e dei silenzi che si portano dietro. Né Renzi né Padoan hanno chiesto mai di cambiare le regole del Patto. A parte la Lega Nord, Fratelli d'Italia, Forza Italia e Sel, nessuno mai dal governo italiano ha chiesto di cambiare le regole,  le procedure e i parametri del Patto di stabilità e crescita. La vera posta in gioco è il "tempo". In gioco c'è appunto il rinvio del pareggio di bilancio al 2016 invece che al 2015. In gioco potrebbe esserci, da qui alla fine del semestre italiano, il rinvio della ulteriore riduzione del deficit, previsto allo 0,6% nel 2016.
Del resto, che altro fa Mario Draghi dalla tolda della Banca centrale europea se non "comprare tempo" per consentire ai governi rimasti indietro di accelerare sulle riforme? Quando nel luglio 2012 varò l'OMT (Outright monetary transaction), il piano di sostegno ai titoli del debito pubblico, altro non fece che contribuire a ridurre drasticamente lo spread fra i titoli italiani e quelli tedeschi, creando le condizioni monetarie più favorevoli per le riforme. Che non sono state fatte o, quelle fatte, non sono risultate incisive come si aspetta l'Europa ma soprattutto come richiedono le condizioni della nostra finanza pubblica.
Matteo Renzi ha bisogno di una cornice temporale meno affannosa. Il premier "di corsa" deve rallentare il passo se vuole dare sostanza e incisività alle riforme e non ridurle a semplice belletto. Questa è la sfida che lo attende in Europa. E su questa strada sa che troverà in Italia un fronte antieuropeista agguerrito (dalla Lega a FdI, passando per quel caos che è oggi FI, e M5s). Meno riforme ma migliori e più incisive, ad esempio sul lavoro, di quelle fin qui viste. Se Renzi saprà convincere l'Europa su questo terreno avrà gioco facile. Se invece continua nell'illusionione di un riformismo fantasmagorico ma di incerta o poca sostanza, rischia di complicarsi la vita.

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