venerdì 6 settembre 2013

LETTA SOPRAVVIVERÀ A SE STESSO MA L'ITALIA È SEMPRE ALLA DERIVA


   di Massimo Colaiacomo

     Il governo Letta ha raggiunto la soglia di inconcludenza tipica di ogni esecutivo costretto a subire tutte le contraddizioni di una maggioranza troppo ampia e confusa sul piano dei programmi e dunque scarsamente coesa sul piano politico.
     Enrico Letta è partito con il piglio giusto ma il progressivo sfarinamento della coalizione, sempre più impiccata alle vicende processuali di Silvio Berlusconi e ancora in queste ore a un passo del baratro, ne hanno fatto un re travicello. Con il passare dei giorni, l'esecutivo si sta condannando a sopravvivere a se stesso, sottoposto com'è a un logoramento tipico di una fine legislatura. Non è questo il caso di Letta, sul cui destino il presidente della Repubblica ha aperto un paracadute solido dal momento che Napolitano è pronto al gesto estremo delle sue stesse dimissioni qualora la maggioranza dovesse dissolversi in seguito a una crisi.
     Rimane, incontestabile, un dato di fatto: l'esecutivo ha fatto poco o nulla per aggredire le cause profonde della crisi nella quale si avvita l'Italia da alcuni anni. Le previsioni statistiche dei principali centri (dal Fondo monetario alla Banca centrale europea) sono impietose con l'Italia per la quale ipotizzano un rallentamento della caduta delle attività economiche ma il nostro Paese rimane, unico fra le potenze del G8, con il segno negativo davanti al Pil mentre per tutti gli altri diventa positivo già nell'ultimo trimestre del 2013.
     L'accento posto dal governo sulla crescita e sulla creazione di nuova occupazione  è sicuramente giusto. Come giusti sono gli sforzi per bloccare (attenzione alla parola: bloccare, che non significa ridurre) l'incremento della pressione fiscale. Il punto, come ha ricordato ancora stamane l'ex capo economista della Bce, il tedesco Otmar Issing, in un'intervista a la Repubblica, è la direzione di marcia sbagliata intrapresa dall'esecutivo Letta e dunque dall'opaco suo ministro dell'Economia. Troppe tasse, è in sintesi il pensiero di Issing, e nessun taglio di spesa: così si va a sbattere.
     Fabrizio Saccomanni si sta rivelando inadeguato nelle scelte fin qui compiute per fronteggiare la grave situazione economica. Egli si sta affermando come il portavoce più autorevole del PUS (Partito unico della spesa), unica forza davvero trasversale potendo contare in Parlamento su adesioni massicce, da destra come da sinistra. Su questo versante Letta deve scontare un insuccesso pari almeno al fiasco del governo Monti: nuove tasse e neanche un centesimo di spesa tagliata.
     L'ideologia statalista è radicata nelle fibre della Repubblica. Invocare la crescita per crere nuova occupazione è una litania stucchevole dal momento che nessun esponente politico, di maggioranza o di opposizione, ha mai partorito una sola idea su "come" crescere e con quali risorse. Da Grillo a Renzi a Letta la ricetta è unica ed è quella del PUS. Non a caso in un Consiglio dei ministri di fine agosto il governo ha potuto annunciare con l'enfasi populista tipicamente italiana che saranno 12 mila gli insegnanti che usciranno dal precariato per essere stabilmente assunti e, da qui a tre anni, saranno 35 mila i medici "stabilizzati" (eufemismo carino per dire che l'Erario dovrà provvedere a 35 mila stipendi!).
     Qualche tempo fa, quasi presaga di queste decisioni e ben conoscendo il costume corrivo italiano, la cancelliera Angela Merkel, durante una conferenza stampa congiunta con Enrico Letta, al termine di un colloquio, disse che non lo Stato ma le imprese devono essere il motore per creare nuova occupazione e produrre crescita, quella buona, non inflattiva e non debitoria. L'Italia, invece, deve prepararsi, con le scelte di questo esecutivo, a veder crescere il fardello del proprio debito per fronteggiare il quale lo Stato, in autunno, si prepara a n nuovo piano di dismissioni e privatizzazioni. Esattamente come vent'anni fa. Allora fu il presidente dell'IRI, un certo Romano Prodi, a mettere in fila i gioielli di famiglia (Iri, Credito italiano, Banca commerciale, Telecom), oggi un suo quasi allievo si prepara a imitarlo. Se non si tassa si (s)vende qualcosa dell'argenteria rimasta in casa.
     Ecco: questa è l'immoralità vera e conclamata della politica. La rinuncia ad assumersi le proprie responsabilità, ad affrontare la realtà non con l'arma della verità ma con quella più maneggevole e docile della demagogia. Il governo Letta andrà avanti, per quella perenne emergenza nel cui nome sono stati compiuti i peggiori misfatti nella spesa pubblica. Il sole non tramonta sulle ambizioni di Letta o di Renzi ma il sipario calerà sull'Italia.

Nessun commento:

Posta un commento