venerdì 23 agosto 2013

PARTE LA CORSA AL VOTO, PD IN SBANDATA E LETTA NON FRENA


di Massimo Colaiacomo

Il rumore è tanto e la polvere da sparo si respira nell'aria a Palazzo Chigi e dintorni. Dunque la strada è (sarebbe) segnata per il governo. La data fatale del 9 settembre, quando la Giunta delle elezioni si riunirà per ascoltare la relazione del suo presidente Andrea Augello sulla condanna definitiva del senatore Silvio Berlusconi, e  votare sulla sua decadenza e conseguente ineleggibilità come prescrive la legge Severino, è molto vicina e nello stesso tempo molto lontana.
Troppo vicina perché da qui ad allora possano trovarsi le soluzioni tecnico-giuridiche chieste in modo ultimativo dal Cavaliere. L'agibilità politica, invocata dal PdL come garanzia minima perché possa continuare nel sostegno a  Letta, è una richiesta difficile da esaudire senza che nella Giunta delle elezioni si trovi una maggioranza convinta della bontà della richiesta. Al momento non c'è e difficilmente si troverà per allora.
La condanna definitiva di Berlusconi si è rovesciata poi su un quadro politico nato fragile e andato facilmente a soqquadro una volta che la Cassazione ha sentenziato. Se si riavvolge la pellicola fino al 4 agosto e si lascia posare la polvere da allora sollevata quotidianamente, si può agevolmente vedere come le forze in campo si sono via via dislocate rispetto alla sentenza. Il PdL si è mosso con la frenesia della mosca catturata dal bicchiere rovesciato: una volta ha invocato l'amnistia; un'altra il rinvio della Giunta; una terza il conflitto davanti alla Corte costituzionale. E via così.
Tentativi tutti falliti, e destinati a fallire, per la semplice ragione che il successo di uno solo di essi presuppone una forte e concorde volontà politica. Senza la disponibilità del Pd, infatti, non esiste nessuna possibilità di attenuare le conseguenze politiche di una sentenza chiara (ingiusta quanto si vuole, ma chiara) di condanna in sede giudiziaria. Il compito della Giunta delle elezioni non è assimilabile infatti a quello di un tribunale. I commissari non sono giudici ma senatori eletti dal popolo e le loro valutazioni, fondate sicuramente su motivazioni tecniche e giuridiche, sono, e non posso essere altrimenti, di natura esclusivamente politica. Sostenere il contrario è un'ipocrisia bell'e buona.
Alla mobilità nevrotica della mosca-PdL si è contrapposto il muro di cemento del PD. Invece di replicare, e argomentare e spiegare sull'impraticabilità di questa o di quell'altra delle soluzioni proposte dal PdL, dal PD è venuta una risposta monocorde e tetragona: le sentenze vanno rispettate. Una posizione all'apparenza impolitica ma, in realtà, carica di un significato politico dirompente. La linea del PD ha sancito, nella realtà, come le conseguenze politiche di una sentenza giudiziaria sono parte della sentenza stessa e la possibilità di intervento da parte della Giunta per valutarne il peso e l'applicabilità della legge Severino sono pressoché nulle. Insomma, la sentenza di Cassazione letta dal giudice Antonio Esposito ha già svolto il lavoro di competenza di un'Aula parlamentare con ciò alimentando la tesi di chi sostiene che quella sentenza sia una sentenza politica.
Con il che si arriva al nocciolo della vicenda Berlusconi e delle ripercussioni devastanti che essa può avere se la politica non sa fare argine. Quando, all'indomani della sentenza il presidente Napolitano, pronunciata la formula di rito (e, francamente, un po' polverosa) che le sentenze si rispettano e si applicano, esortò la politica a procedere celermente con la riforma della giustizia, altro non faceva se non cogliere le degenerazioni provocate nel rapporto politica-giustizia proprio dai gravi ritardi accumulati sul terreno della riforma.
Il Pd, come ha detto con espressione freudianamente efficace Gianni Cuperlo, sulla vicenda Berlusconi "si gioca l'anima". Che tipo di anima? Un'anima giustizialista e supina al potere della magistratura? Un'anima un tempo giacobina ma garantista e poi convertita alla Dea Legalità per onorare la quale si fanno sacrificumani? Oppure, più prosaicamente, il Pd si gioca la possibilità di andare al voto anticipato e vincere le elezioni visto che il Cavaliere dovrà correre non con una ma con tutte e due le mani legate dietro?
Quest'ultima ipotesi diventa la più concreta guardando all'immobilismo politico che ha colpito il PD con la vicenda Berlusconi. Lo scambio di mazzate fra Davide Zoggia, che ha escluso le primarie di partito e indicato in Letta il candidato premier in caso di voto anticipato, e il renziano Dario Nardella, risentito per l'annuncio, è la spia della confusione in cui è finito il PD. Si è condannato alla paralisi, preso dai giochi congressuali, da un lato, e dal calcolo elettorale dall'altro. Si aggiunga la stilettata di D'Alema su Letta premier transitorio e Renzi futuro candidato premier e il quadro è completo. Con un'annotazione a margine: D'Alema, le cui parole rotolano con la precisione di una palla da biliardo che tocca quattro sponde, quando candida Renzi alle primarie sa bene che ci sono tempi tecnici non proprio ravvicinati. Il che è possibile a condizione che il governo non vada in crisi. E D'Alema deve avere qualche buona ragione per pensare che sia così.

Nessun commento:

Posta un commento