lunedì 16 settembre 2013

RENZI E BERLUSCONI, MINACCE SEPARATE MA ESPLOSIVE PER LETTA SE SI SALDANO


di Massimo Colaiacomo

La scena politica assomiglia sempre più a una di quelle matrioske della tradizione russa che tanto colpiscono la fantasia, non solo dei bambini. I riflettori sono puntati sulla Giunta delle Immunità, chiamata mercoledì pomeriggio a votare sulla decadenza del senatore Silvio Berlusconi sulla base della legge Severino. Ma ecco che dentro quella matrioska altre premono per uscire. Il quadro politico ribolle di mille questioni, non tutte visibili e immediatamente comprensibili ma non per questo meno dirompenti. Lo ha capito il presidente del Consiglio. Ospite di "Porta a porta", Letta non ha nascosto la sua irritazione per quanto accade nello scontro politico fra i partiti ma anche dentro il "suo" Pd. A chi altri si riferiva quando ha detto di non essere, lui e Napolitano, il parafulmine delle forze politiche? "Dico attenzione: non governo a tutti i costi, non possiamo essere io e il presidente della Repubblica i parafulmini e coloro che tengono in piedi tutto il sistema. C'è bisogno di una responsabilità collettiva". Per essere più chiaro, e sfuggire a ogni equivoco, Letta ha spiegato che la tenuta dell'esecutivo dipende da tante cose "non solo dalle scelte di Berlusconi". "Però" da alcune settimane al premier non è sfuggito il brusco innalzamento dello scontro tra i partiti. "Ci saranno anche dei motivi - ha osservato - ma non si può chiedere solo al presidente del Consiglio e al presidente della Repubblica di reggere, mentre tutti si danno botte da orbi".
A chi si riferisce Enrico Letta? Botte da orbi si scambiano con frequenza quotidiana Pd e PdL sulla vicenda Berlusconi. Ma è tutto lì? Non bisogna essere maliziosi per allargare lo sguardo e vedere il sostegno a quelle botte che viene ogni giorno da Matteo Renzi. Il quale si è trasformato in un globe trotter e celebrando a modo suo le primarie del Pd si porta da una festa di partito all'altra per menare fendenti. Pronto ad "asfaltare" il PdL o a stuzzicare il premier Letta perché non si accontenti soltanto di durare ma si preoccupi anche di fare. E Letta, senza mai nominarlo, contraccambia. "Non ne posso più - è stata l'intemerata di Letta - di quelli che dicono che in questi quattro mesi ci siamo girati i pollici". Chi altri, a parte Renzi, ha sostenuto quest'accusa contro il governo?
Letta ha capito non da oggi che le insidie maggiori alla tenuta del governo vengono dal fronte del Pd. Sa, o spera, di poter governare in qualche modo le conseguenze legate alla decadenza di Silvio Berlusconi. Ma non sa, e non può governare in alcun modo l'eventuale saldatura fra queste e la spinta di Renzi per andare alle urne. Come spesso accade, cause fra loro diverse si ritrovano a convergere verso lo stesso obiettivo.
Per questo motivo, Letta ha fretta di accelerare sull'azione di governo. Di mettere mano alla Legge di stabilità per attuare una prima riduzione della pressione fiscale e mettere più soldi nelle buste paga. Difficile però immaginare che possa godere di ampi spazi di manovra se è vero, come ha detto lo stesso premier, che le condizioni che a marzo ed aprile facevano stare l'Italia in bilico "non sono venute ancora meno". Cercare di spezzare l'assedio al governo rilanciandone l'azione sul piano fiscale appare al momento un gesto temerario se non disperato. Le risorse sono scarse e gli impegni di spesa contratti per il prossimo triennio sono davvero ingenti (si pensi alle oltre 126 mila assunzioni in programma nella scuola). E il commissario europeo al Bilancio, Olli Rehn, è pronto ad accendere il riflettore sull'andamento del rapporto deficit-Pil che, si teme a Bruxelles, potrebbe di nuovo superare l'asticella del 3%.
Su questo versante si riscontra l'insuccesso magiore del governo. Letta ha annunciato per settembre la nomina di un commissario per la spending review, un annuncio, per le condizioni della spesa pubblica, a dir poco lunare se è vero che a settembre il commissario comincia a studiare l'andamento della spesa pubblica che andava tagliata già da 10 anni. Insomma, Letta ha fornito inconsapevolmente nuove armi alle ironie di Beppe Grillo.
Le incertezze dell'esecutivo su questo versante segnalano un suo oggettivo indebolimento, in sede europea prima che interna. La credibilità dell'Italia si gioca sul giudizio emesso dai mercati, quando ogni mattina si accendono i monitor nelle sale operative. Essere stati superati dalla Spagna, che paga il 4% di interessi sui Bonos rispetto al 4,5% dell'Italia sui Btp è dovuto sicuramente alla confusione del quadro politico, come sostiene Letta. Ma è una considerazione che non può assolvere l'esecutivo per le inadeguatezze fin qui mostrate.
In questo scenario di fragilità oggettiva del governo ha il suo peso una vicenda come quella di Berlusconi. Il quale ha fatto sapere, attraverso il relatore di Giunta Andrea Augello che sta riflettendo "su una decisione importante da assumere: se confermare la fiducia al governo, se rimanere in carica, se aspettare il voto". Tre ipotesi in apparenza banali, ma non necessariamente disgiunte fra loro. Cosa impedisce a Berlusconi di confermare la fiducia al governo e dimettersi? O di aspettare il voto? O di ritirare la fiducia e non dimettersi, così da tentare una disperata uscita elettorale per spezzare l'assedio giudiziario? Al momento, quest'ultima appare la più improbabile delle tre ipotesi. Ma, come si diceva, la saldatura tra la fregola elettorale di Renzi e la rabbia del Cavaliere potrebbero sortire la peggiore delle risposte.

Nessun commento:

Posta un commento