martedì 1 novembre 2016

SISMA, IL RISCHIO DI UN'UNITÀ NAZIONALE IN FUNZIONE ANTI-EUROPA



di Massimo Colaiacomo


     Sotto le macerie ancora fumanti dell'ultima scossa sismica che ha devastato un'ampia area dell'Italia centrale, la politica mostra e, se possibile, amplifica tutti i propri limiti. Da nessuno dei protagonisti, si tratti del presidente del Consiglio o dei leader di opposizione, è fin qui venuto un solo gesto capace di tradurre in atti concreti quel sentimento di unità nazionale che tutti invocano ma che nessuno manifesta se non con riserve mentali e calcoli politici. Sotto i riflettori il premier si muove a suo agio e il suo appello all'unità nazionale, giusto e perfino scontato di fronte a un dramma senza fine, ha lasciato intravvedere per un istante la possibilità di un rasserenamento del clima politico.
     Questa sensazione è durata lo spazio d'un mattino. Perché la mobilità, non solo fisica, del presidente del Consiglio ha occupato tutta la scena. Dopo un Consiglio dei ministri straordinario, con lo stanziamento di 40 milioni per la prima emergenza e il conferimento di nuovi poteri al capo della Protezione civile, Renzi si è recato a Norcia, ha rassicurato tutti che entro la primavera saranno pronti i moduli abitativi, nessuno sarà "deportato" e nel giro di poche settimane saranno pronti i container per ospitare quelli che scelgono di restare vicino alla propria. Nessun contatto ufficiale c'è finora stato con le opposizioni. C'è però un punto di convergenza molto forte e, in prospettiva, molto insidioso: Renzi, Grillo, Salvini e tutti, senza eccezione alcuna, sono pronti a ignorare qualsiasi osservazione dovesse arrivare dalla Commissione europea e dal Commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, sulla legge di stabilità.
     Grillo si è portato avanti a tutti: pronti a sostenere il governo se davvero il suo obiettivo è infischiarsene di eventuali richiami della UE. Dal centrodestra non si sono levate, almeno fino a questo momento, critiche particolari: Brunetta e Gasparri si sono limitati a rimproverare Renzi per non aver convocato il tavolo di coesione nazionale e per aver fatto nomine senza interpellare le opposizioni. Per il resto, Salvini in testa, applausi al premier se intende procedere nella sfida all'Europa sulla legge di stabilità.
     Riaffiora, qui, ancora una volta, la debolezza strutturale e la povertà etica del nostro ceto politico, la sua istintiva e secolare vocazione a cogliere l'attimo per sottrarsi a obblighi e impegni. L'idea che i danni gravissimi provocati dal sisma, con la necessaria e doverosa opera di ricostruzione, siano il campanello che annuncia la ricreazione contro la politica di austerità si è fatta strada in un baleno e accomuna tutti, maggioranza e opposizione, in un afflato anti-europeista quale mai si era visto in Italia. Nessuno, soprattutto dall'opposizione, si è alzato per invocare un profilo più cauto nel rapporto con la Commissione; da nessuno è venuto il suggerimento di cambiare alcune delle poste di bilancio della Legge di stabilità - sgravi fiscali alle imprese e quattordicesime alle pensioni - per dirottare quelle risorse alla ricostruzione.
     Quanto la notte del 9 novembre 1989 il Muro di Berlino venne buttato giù, Helmut Kohl sapeva che si stava chiudendo una lunga stagione del '900 ma quella che si apriva era una pagina piena di incognite e andava scritta con un coraggio al limite della temerarietà. Fu, a suo modo, un terremoto della storia. La Repubblica Federale tedesca doveva accogliere 40 milioni di tedeschi della Germania dell'Est, ricostruire stazioni, ponti, strade, scuole, edifici pubblici e privati la cui manutenzione era ferma agli anni del dopoguerra. La Germania investì qualcosa come 1500 miliardi di euro (allora non c'era l'euro, ma la spesa fu stimata in circa 3 mila miliardi di marchi) e ancora oggi, a distanza di 27 anni, sullo statino di fine mese dei lavoratori tedeschi figura una trattenuta del 5% come finanziamento dell'immane opera di riunificazione della Germania.
     Una pagine della storia europea sulla quale poco hanno riflettuto gli europei. Quando ci si interroga sull'egoismo tedesco e sulla rigidità che appare eccessiva nella gestione delle regole di Maastricht, bisognerebbe ricordare quel tempo. Renzi non è, né mai diventerà Helmut Kohl, ma pensare che si ricostruiscono le zone terremotate solo prendendo a calci negli stinchi l'Europa significa non solo non avere una visione dei problemi, ma soprattutto di non aver mai coltivato nessun sentimento di orgoglio nazionale.

Nessun commento:

Posta un commento