giovedì 3 novembre 2016

IN ITALIA E IN EUROPA, I CONTI DI RENZI NON TORNANO PIÙ


di Massimo Colaiacomo


     La marcia controvento sta portando Matteo Renzi su un sentiero che si fa ogni giorno più stretto e più ripido. La polemica martellante contro l'Europa e la burocrazia di Bruxelles è un refrain quotidiano nei tour del presidente del Consiglio. Abilissimo nella comunicazione, Renzi sa trovare immagini di grande efficacia. Come ha fatto oggi, al Politecnico di Milano, quando ha osservato che "Norcia è la sede dell'Europa". Oppure, per ricordare, ai funzionari italiani a Bruxelles e ai governi che l'hanno preceduto, che l'Italia non è più la Bella Addormentata nella Ue dove troppo spesso le regole sono state scritte mentre i rappresentanti di Roma si limitavano a prendere appunti e mai a muovere obiezioni.
     Non mancano certo le ragioni perché Renzi mantenga il tiro alto sulla UE. La Legge di stabilità ha fatto storcere la bocca al commissario Pierre Moscovici e il silenzio impenetrabile della cancelleria tedesca è eloquente più di qualsiasi comunicato. Il presidente del Consiglio protesta, non certo a torto, per il diverso trattamento riservato alle banche italiane a causa di regole subir dai nostri governi e scritte forse a vantaggio e a beneficio di altri. Non meno legittima è la protesta vibrante di Renzi contro quei Paesi che sulla questione dell'immigrazione preferiscono girarsi dall'altra e continuano a maramaldeggiare sulle regole volute dai governi europei e da tutti accettate.
     Sono dossier spinosi, per i quali il governo italiano sta giocando una partita dura con la Commissione europea. La guerra combattuta sui decimali del deficit, incomprensibile forse all'opinione pubblica, è qualcosa che va oltre la semplice contabilità di bilancio. Essa è il tentativo disperato di Renzi di forzare quelle regole che non è riuscito a cambiare, nella convinzione, forse, che una volta aperto il varco l'Unione tutta dovrà ridiscutere quel capestro che è il "fiscal compact". È un obiettivo ambizioso ma, va anche detto, impossibile da raggiungere seguendo una strategia tipica della guerriglia come fin qui ha fatto il governo italiano.
     È pur vero, come sostengono le opposizioni, che incassare il placet dell'Europa per allargare la flessibilità dei conti significa accumulare nuovo debito da mettere sulle spalle delle future generazioni. Su questo sentiero sempre più ripido, però, Renzi rischia di finire ribaltato: la montagna del debito pubblico non è più affare delle future generazioni ma diventerà presto, una volta che la curva dei tassi riprenderà a salire, un affare di questa generazione, con tutte le conseguenze immaginabili sul piano sociale e del consenso politico.
     La Federal Reserve si prepara a ritoccare di uno 0,25% i tassi lunghi, lasciando invariato lo short-term per via di alcuni dati insoddisfacenti (il calo degli occupati a ottobre e il pay roll piatto dei lavoratori non agricoli). Tanto basta perché si avvii  un progressivo disallineamento fra le politiche monetarie delle Banche centrali, con quella americana che farà da apripista per una nuova stagione di rialzi dei tassi. La BCE ha garantito, almeno fino a marzo 2017, il proseguimento di una politica monetaria accomodante. Quello che accadrà dopo è al momento difficile da prevedere perché troppe sono le incognite, a cominciare dall'esito elettorale negli USA.
     Quello che sarebbe invece ragionevole fare, e che finora Renzi non ha fatto, è di mettere, come dicevano un tempo i contadini in previsione dell'inverno, del fieno in cascina, cioè mettere mano alla spesa pubblica con tagli incisivi e, dunque, dolorosi sul piano sociale e del consenso politico. L'opposto esatto di quanto finora fatto dal governo in carica. Assumere 10 mila dipendenti tra forze di polizia, medici e infermieri è un annuncio troppo ghiotto per tralasciarlo alla vigilia del referendum. E nessuna delle forze di opposizione ha alzato il dito per dire che no, così non va e i conti pubblici finiscono a ramengo. La spirale populista in cui è entrata l'Italia non ha eguali in Europa: Grillo, Salvini, Berlusconi e, in testa a tutti Renzi, sono troppo impegnati a cercare l'applauso facile e i voti, si tratti del referendum o delle prossime amministrative. Con il rischio per tutti, e per fortuna dell'Italia, che giunto Renzi al capolinea rifiorirà da qualche parte un nuovo Mario Monti. 
      

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