lunedì 21 novembre 2016

PERCHÉ IN FRANCIA E GERMANIA E NON IN ITALIA


di Massimo Colaiacomo

     Il primo turno delle primarie di centrodestra in Francia hanno dato un risultato inatteso in Europa ma, forse, non imprevisto dall'opinione pubblica francese. François Fillon, ex primo ministro di Sarkozy, ha dato scacco matto al suo vecchio dante causa e all'altro candidato Alain Juppé. Sarkozy si è fatto da parte, ancora una volta, e sembra non più intenzionato a risorgere dalle sue ceneri. Al secondo turno, secondo i pronostici, Fillon dovrebbe spuntarla largamente su Juppé. Significa che il prossimo aprile, quando la Francia sceglierà il nuovo presidente della Repubblica, il centrodestra dovrà combattere fino all'ultimo voto per avere la meglio sulla candidata del FN, Marine Le Pen.
     Chi avesse immaginato la signora Merkel pronta a fare gli scatoloni per sgombrare gli uffici della Cancelleria, dovrà ricredersi. La cancelliera ha annunciato la sua intenzione di candidarsi per un quarto mandato, proprio come il suo padre politico, Helmut Kohl, con l'obiettivo di fermare i populisti e impedire che una loro affermazione accentui la disgregazione già avanzata del progetto europeo. Merkel non ha indicato nella Spd il suo bersaglio, proprio come, in Francia, Fillon non ha indicato nel Ps il suo concorrente. Entrambi i candidati conservatori, a Berlino come a Parigi, hanno i loro avversari più agguerriti sulla destra e imposteranno su di loro le rispettive campagne elettorali.
     Quello che in Italia si vorrebbe unire, Salvini, Meloni e Forza Italia, è radicalmente diviso nel resto d'Europa. L'anomalia italiana, perché di anomalia si tratta, ha molte cause ma la fine dei partiti politici organizzati è stata la prima e più importante causa dello sfarinamento del sistema politico e della rappresentanza parlamentare. Nel vuoto creato da Tangentopoli ha messo radici il populismo nelle sue differenti versioni: da quello soft di Berlusconi e di Renzi a quello hard di Grillo e di Salvini. La fine dei partiti politici come canali di raccolta del consenso e come luoghi di formazione del ceto politico ha lasciato uno spazio enorme al proliferare di un'offerta politica via via più scadente, sempre più intrisa di demagogia a buon mercato. Questo risultato è stato ulteriormente aggravato dal tramonto della stella berlusconiana e dalla crescita proporzionale del populismo leghista e del vetero-statalismo di Fratelli d'Italia.
     Il referendum del 4 dicembre, presentato come lo spartiacque fra un passato irredimibile e un futuro carico di speranze, si presenta, in questa cornice, soltanto come un'altra tappa nell'evoluzione della strategia populista che ormai avvolge la politica in Italia. Chiunque uscirà vincitore, rimane irrisolto il problema di fondo di un ceto politico inadeguato e della conseguente incapacità del Parlamento di scrivere una legge elettorale che consenta di selezionare, attraverso il voto popolare, una nuova generazione del personale politico in grado di misurarsi con le sfide culturali e politiche di questo tempo. Sullo sfondo rimane la questione decisiva: rimettere in piedi i partiti politici, e le culture che essi hanno rappresentato con alterne fortune per oltre 50 anni, è il primo passo senza il quale qualsiasi riforma della Costituzione e delle istituzioni sarà nel segno della precarietà.
     È molto difficile immaginare una svolta nella crisi italiana se le forze politiche residue continuano a inseguire le capriole di Beppe Grillo, consegnandosi in questo modo a un'irrilevanza del tutto simile al proprio necrologio. Continuare a illudere gli italiani che il limite dei mandati parlamentari è la panacea ai problemi del Paese è da irresponsabili e se Renzi la pensa come Grillo sbaglia a credere di potere in questo modo prosciugare l'acqua in cui nuota. L'ubriacatura populista ha sfibrato il coraggio anche in chi ne aveva impedendogli di constatare quello che il buon senso  suggerisce, e cioè che i Paesi europei dove la crescita economica è solida e ridotta l'area di conflitto fra la società e la politica sono quei Paesi governati da un ceto politico di grandi professionisti. Merkel, Rajoy, Hollande oggi e, forse, Fillon domani, come Theresa May a Londra, sono tutti politici di lungo corso, persone che hanno vissuto e vivono di politica in quanto hanno una conoscenza solida e profonda della macchina statale, dei dossier principali di politica economica e di politica internazionale. Esattamente il contrario di ciò che accade nel villaggio Italia.  

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