martedì 15 novembre 2016

NON PARISI MA LA LEGGE ELETTORALE È IL BERSAGLIO DI BERLUSCONI. E RENZI SPERA


di Massimo Colaiacomo


     Se ancora qualche dubbio residuava, dopo le parole di Silvio Berlusconi a Radio anch'io ogni incertezza cade: Stefano Parisi non sarà mai il Sarkozy o il Juppé italiano. Allo stesso modo, Forza Italia non sarà mai come i Repubblicani del centrodestra francese o i conservatori inglesi. Troppo diversa è la geografia politica italiana, troppo diversi i suoi protagonisti impegnati in sfide sempre al penultimo sangue salvo brevi tregue, fragili e precarie quanto basta per riaccendere lo scontro. L'anziano leader di Forza Italia ci ha messo del suo, come sempre ha fatto lungo tutta la sua parabola politica. Ogni volta che un pretendente alla sua leadership si affaccia sulla scena, Berlusconi tira fuori dal cilindro un delfino, lo battezza, e poi lo dà in pasto, oggi alla spavalderia di Matteo Salvini, come ieri immolava Casini alle ambizioni di Fini.
     Questa volta, però, Berlusconi ha scelto di scuotere con più veemenza il suo campo politico. Dopo un'intervista al Corriere della Sera, la settimana scorsa, in cui prendeva le distanze del populismo leghista con tono perentorio, sabato scorso ha inviato un caloroso messaggio alla manifestazione di Stefano Parisi, a Pavia, per incoraggiarlo nel suo percorso. Stamane l'altolà, lo stop brusco: Parisi non sarà mai leader di alcunché a causa dei suoi contrasti personali con Salvini. Una tattica in apparenza omicida-suicida: tagliare le gambe a Parisi e lasciare campo libero a Salvini ad appena 20 giorni dal voto referendario non restituisce più a Berlusconi la centralità nel centrodestra, sempre riconquistata in passato con questo stratagemma, e lo mostra invece nelle vesti di un leader confuso e in affanno. Questa tattica offre all'opinione pubblica l'immagine di un campo politico devastato da incendi e ambizioni personali, da rancori vecchi e nuovi, insomma se ne ricava l'idea di forze politiche incapaci di andare oltre il NO al referendum confermativo. L'elettore si chiede, smarrito, come possano forze che si combattono ogni giorno presentarsi come un'alternativa al governo Renzi. La domanda del tutto legittima è: quanto di questo è deliberatamente voluto da Berlusconi, sapendo che a trarne giovamento può essere soltanto la sfida referendaria lanciata da Renzi?
     Chi strologa sulle intenzioni dell'anziano leader di Forza Italia lo fa a buon diritto. Poiché Berlusconi ci ha abituato a non sottovalutare mai il senso delle sue scelte, il congedo alle ambizioni di Parisi si carica di un significato politico ben preciso. Berlusconi ha bisogno di rassicurare i suoi ex alleati Salvini e Meloni che mai, dopo il 4 dicembre, ci sarà una riedizione del Patto del Nazareno o di qualcosa che possa sia pur vagamente rassomigliargli. Questa rassicurazione non impedisce a Berlusconi di trattare sulla legge elettorale e di riaffermare la sua preferenza per il sistema proporzionale ampiamente indigesto a Salvini ma gradito molto a Beppe Grillo e non del tutto escluso da Matteo Renzi.
     Quale che sia il convincimento di Berlusconi, il bersaglio delle sue affermazioni non è Stefano Parisi, bensì la possibilità, dopo il 4 dicembre, di ammansire il suo campo politico e trattare con Renzi o con quel che sarà una riforma elettorale capace di salvaguardare gli spazi politici di Forza Italia. Berlusconi sa, come anche Renzi sa, che dai grillini è pronto a venire semaforo verde a una riforma elettorale il già proporzionale possibile. Il che assicura una larga maggioranza parlamentare, anche se più accidentata appare la strada di un governo che ne sia in qualche misura espressione.
     

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