domenica 6 novembre 2016

RENZI E BERLUSCONI VERSO LE COLONNE D'ERCOLE DEL 5 DICEMBRE



di Massimo Colaiacomo

     L'accordo trovato con Gianni Cuperlo sulle modifiche alla legge elettorale ha un valore simbolico decisamente superiore agli effetti pratici. Esso è utile a Renzi per mostrare all'esterno ma, soprattutto, all'interno del PD che egli nutre intenzioni serie e intende muoversi con lealtà verso i suoi avversari. Quell'accordo è servito soprattutto per rilanciare il duro attacco, rivolto oggi dalla Leopolda, contro Bersani, D'Alema e la vecchia guardia in genere accusata da Renzi di utilizzare il referendum come terreno di rivincita contro di lui. La spavalderia del premier va però assumendo un segno diverso a mano a mano che si avvicina la data del 4 dicembre. Renzi si muove senza più il conforto dei sondaggi, quasi tutti negativi per il SÌ, e fischietta come il tale che si muove al buio e deve darsi coraggio per affrontare l'ignoto.
     Il 5 dicembre rappresenta in qualche misura le colonne d'Ercole che il premier spera di varcare per guadagnare il largo della legislatura. Hic sunt leones, recitavano le antiche carte geografiche per indicare al viaggiatore che stava per inoltrarsi in territori inesplorati e infidi. Renzi sa che un esito negativo del referendum aprirebbe scenari inesplorati per affrontare i quali dovrà affidarsi alla bussola come sempre in questi fornita dal Quirinale. A questo scopo risulta per lui fondamentale aver trovato una mezza apertura nella minoranza del PD sulla legge elettorale perché questo significa aver imbastito un mezzo canovaccio per il dopo referendum.
     L'altra metà è nelle mani di Silvio Berlusconi. Il vecchio leader di Forza Italia sta giocando, come di consuetudine, su diversi tavoli. Si è schierato decisamente nel campo del NO, avendo chiaro che la bocciatura del referendum potrebbe chiudere una partita politica, azzoppando Renzi, ma ne aprirebbe un'altra ancora più complessa nel centrodestra temporaneamente riunito nell'assalto al governo. Non è un caso se Berlusconi continua a martellare sulla necessità, all'indomani di una vittoria al referendum, di riscrivere almeno una legge elettorale se non addirittura rimetter mano alla riforma costituzionale appena bocciata. Gli alleati appena ritrovati su questo punto sono irremovibili: Salvini e Meloni si muovo all'unisono contro ogni ipotesi di sostegno esterno o di astensione rispetto a un nuovo governo imperniato sul PD. Né appare plausibile la soluzione di un esecutivo tecnico o istituzionale incaricato di trattare una materia per eccellenza "politica" come la legge elettorale: su questo punto anche Renzi si è espresso con forza escludendo anche solo la possibilità di un "governicchio tecnichicchio".
     Molti indizi lasciano intravvedere, nel caso di un'affermazione del fronte del NO, che sarà ancora una volta il principio dell'eterogenesi dei fini a prevalere sui calcoli delle forze politiche.  Renzi e Berlusconi saranno costretti a trovare un accordo che sarebbe, forse ancora più del Nazareno, di mutuo interesse e, proprio per questo, ancora più ostacolato dai rispettivi alleati, almeno in una fase iniziale. Salvo rendersi conto tutti, da Salvini a Meloni a Grillo, che riscrivere la legge elettorale è un po' sottoscrivere la polizza assicurativa per la prossima legislatura. Se mai qualcuno degli attuali leader ne avesse voglia, potrebbe sfogliare qualche pagina di un vecchio libro di Giuseppe Maranini "Storia del potere in Italia" e scoprire che è un volume sulla storia dei meccanismi elettorali sperimentati nell'Italia post-unitaria. La legge elettorale come distributore di potere legittimo. Difficile sottrarsi alla sua scrittura.

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