mercoledì 9 novembre 2016

LA GRANDE RISACCA


di Massimo Colaiacomo

     Il presidente della Fondazione per il premio Nobel, Carl-Henrik Heldin, è andato in depressione a causa delle vittoria di Donald Trump foriera, a suo giudizio, di un allontanamento del mondo "dal pensiero logico e dal razionalismo". Non è messa meglio la ministra tedesca della Difesa, Ursula von der Leyen, vittima di uno "shock", confermato peraltro dal seguente giudizio. "Io credo - ha detto la serafica ministra - che Trump sappia che questo voto non è per lui ma è contro Washington". Esatto: contro Washington, ma per Trump a Washington.
     Scorrere sulle agenzie le reazioni nel mondo alla vittoria inattesa ma non inaspettata di Donald Trump è un esercizio molto utile per capire come si è spostato in politica il confine fra la realtà e la sua rappresentazione. Dalla soddisfazione di Putin e dagli applausi della Duma, alle congratulazioni calorose di Mariano Rajoy e Theresa May, per non ignorare le parole di elogio dell'egiziano Al-Sisi, il ventaglio dei giudizi reca una frattura evidente: da un lato i "realisti", coloro che guardano le tabelle dei risultati, prendono atto della volontà del popolo americano, e si congratulano con il vincitore. Dall'altro lato, i "visionari", cioè i sacerdoti del pensiero pettinato, inclini alla sentenziosità moralisteggiante e con l'indice perennemente alzato per indicare la retta via sulla quale incamminare i  popoli. Questi due campi quasi esauriscono lo spazio delle reazioni, lasciando uno spazio residuale alle posizioni "terze", quale è ad esempio il "rispetto" del voto annunciato da Renzi. Il quale ha tentato, con una certa ingenuità, di cavalcare il voto americano per spiegare che chi vota NO alla riforma costituzionale vota per la casta (Renzi-Zelig è pronto a diventare anche un supporter di Trump?)
     La vittoria di Donald Trump, eletto 45° presidente degli Stati Uniti, giunge come un grande reset negli equilibri mondiali, un po' meno in quelli americani. I timori di un America votata al neo-isolazionismo affiorati nei primi commenti, sono forse esagerati e comunque non infondati se Trump dovesse anche solo in parte continuare la politica estera di Obama, vero apripista dell'isolazionismo americano (vedi alle voce Medio Oriente, Siria, Israele, Isis). Le prime parole di Trump sono significative: cercherò alleanze e non conflitti. Vladimir Putin trattiene la soddisfazione, ma a Bruxelles, a Berlino, a Parigi dovrà iniziare molto presto una riflessione "strategica" sull'Europa rimasta, dopo la notte di ieri, un'idea in cerca d'autore. La riduzione del conflitto con la Russia e l'invito, più volte indirizzato all'Europa a un maggior impegno finanziario per la propria difesa,  sono il segnale di un mutamento importante nelle relazioni fra le due sponde dell'Atlantico. Che cosa è l'Europa senza lo scudo americano e la Nato nei confronti della Russia? Un interlocutore debole, un territorio dove costruire una vasta zona d'influenza russa?
     Trump non darà risposte immediate agli interrogativi che corrono nelle diverse cancellerie. Chi dice che non ha un programma ma solo vaghe idee sulle grandi questioni internazionali, evidentemente non ha seguito la campagna elettorale. Forse non ha chiaro il punto di approdo, ma sicuramente Trump ha già tracciato i sentieri da battere in politica estera. L'America penserà di più a se stessa, anche se questo non significa che abbandona la sua strategia di alleanze. Può invece voler dire che l'Europa si trova davanti al bivio: uscire dal limbo in cui si è cacciata dopo la nascita dell'Euro, e quindi riprendere la via maestra dell'integrazione su tutti i piani, a cominciare dalla difesa e dalla sicurezza; oppure proseguire nella deriva attuale e diventare un'area cuscinetto sotto l'occhio vigile di Mosca. L'ipotesi di un'Europa mediatrice e "terza forza", ora che si profila la ripresa di un dialogo Usa-Russia, non ha senso alcuno sul piano politico. Se l'Europa vuole sopravvivere e ritrovare un senso in un mondo che si prepara a ricostruire i propri equilibri, deve coltivare l'ambizione di una unità politica e militare. Diversamente la grande risacca, esito imprevisto di vent'anni di globalizzazione, finirà per travolgere il vecchio continente.   

Nessun commento:

Posta un commento