venerdì 4 novembre 2016

4 NOVEMBRE 2016


di Massimo Colaiacomo


     È una giornata qualsiasi, e lo è diventata ormai dal lontano 1977 quando, a seguito della crisi petrolifera, così allora venne spiegata la decisione, la Festa del 4 novembre venne depennata, con altre festività, dal calendario. Non conosco, ammesso che esistano, sondaggi specifici sul significato che l'opinione pubblica accorda a questa data. Ma dalle dichiarazioni rese dai vertici istituzionali e di governo, emerge una idea precisa: è la Festa della Patria, e tutti esprimono gratitudine e riconoscenza alle Forze armate. La presidente della Camera, Laura Boldrini, ha deposto una corona d'alloro al Sacrario dei caduti, a Redipuglia, più esattamente sulla tomba del duca Amedeo di Savoia-Aosta.
     La rimozione della festività dal calendario non ha intaccato il sentimento già flebile che circonda questa data e il suo significato. Festeggiare la fine della Prima guerra mondiale, grazie alla quale l'Italia coronò il sogno risorgimentale dell'unità nazionale, era un tabù già da alcuni decenni, ben prima della soppressione della festività. Per un complesso di cause ampiamente conosciute: il timore, ad esempio, che concetti come la Patria e la Nazione potessero rianimare le ombre del ventennio fascista la cui retorica si abbeverò a quelle fonti, come ogni regime autoritario del '900.
     Per alcuni aspetti, la Germania si è trovata ad affrontare problemi simili anche se la riunificazione tedesca, il 9 novembre 1989, conseguita senza sparare un solo colpo ma solo grazie alla dissoluzione dei regimi  comunisti, è oggi motivo di festeggiamenti senza troppi retropensieri o pregiudizi. Essa, si può dire, appartiene a un'altra categoria del concetto di Nazione. Il basso profilo scelto dalla politica e dalle istituzioni italiane per la festa del 4 novembre affonda le sue radici in un humus culturale e politico tutto interno alla storia italiana. La debolezza del sentimento nazionale, mai coltivato fino in fondo da nessun governo e tenuto rigorosamente fuori dall'uscio della scuola, luogo dove si forma la coscienza civile e si allena il giudizio critico delle generazioni, non è stata mai avvertita come un problema da chi ha governato l'Italia.
     L'idea che una Nazione sia diventata tale grazie a una guerra sanguinosa, e vinta lasciando centinaia di miglia di morti sul terreno, non è mai stata accettata dalle ruling class italiane e, di riflesso, non è mai stata ritenuta parte del patrimonio fondativo della coscienza nazionale da trasmettere, come ogni patrimonio, alle generazioni che arrivano. I francesi festeggiano uno dei più grandi massacri della storia, la presa della Bastiglia, e ne hanno fatto il simbolo dell'unità della Nazione nata così all'insegna della libertà, dell'uguaglianza e della fraternità. I coloni americani si sono rivoltati contro la madrepatria Inghilterra per conquistare la loro indipendenza e festeggiano il 4 luglio, come a Parigi si festeggia il 14 dello stesso mese. La Francia non festeggia la fine della Seconda guerra mondiale o la caduta del regime di Vichy, circostanze che restituirono la libertà ai francesi né più né meno come il 25 aprile restituì la libertà agli italiani. Ma sono vicende troppo diverse: se non fosse mai esistita una Nazione italiana, non si sarebbe mai posto il problema della libertà degli italiani.  Il 4 novembre 1918, quando le campane delle Chiese si sciolgono per annunciare la fine della guerra, è il certificato di nascita di una Nazione e onorare la memoria di chi ha combattuto per costruirla e trasmetterla a noi è un atto di appartenenza alla comunità nazionale che ogni cittadino dovrebbe fare, per consapevolezza personale oppure perché indotto da chi quella consapevolezza ha il dovere istituzionale di diffondere.
     Nulla di tutto questo è mai accaduto in Italia. Se una nazione, come ammoniva Ernest Renan all'indomani della disfatta di Sédan, è il sentimento dei sacrifici compiuti per stare insieme e di quelli che si è disposti a compiere per rimanere insieme, è facile e drammatico constatare come quel sentimento non è mai stato costruito nel nostro Paese. La fragilità dell'Italia, del suo sistema economico, come le ingiustizie quotidianamente patite dai cittadini nei loro rapporti con le istituzioni pubbliche, hanno le loro radici anche nella smemoratezza della storia nazionale.
      

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