sabato 8 febbraio 2014

LETTA ANTICIPA RENZI, SALE AL QUIRINALE E TENTA IL RILANCIO

di Massimo Colaiacomo

La confusione di queste ore è soltanto il prologo a una scossa del quadro politico. Nel senso che la maggioranza sfilacciata che sostiene Enrico Letta deve superare il bivio davanti al quale è stata portata vuoi con le accelerazioni di Renzi sulle riforme, vuoi con l'oggettivo sopore del governo. Si spiega così la necessità per Letta di salire al Quirinale con un programma rinnovato per sciogliere con "l'arbitro" Napolitano un punto interrogativo: esiste una via di mezzo fra il rimpasto e il Letta-bis senza passare necessariamente dalla crisi formale? Sembra essere questo il punto di caduta di una situazione ormai sfarinata e nella quale sia Renzi sia Letta si giocano un bel po' del loro futuro.
Quando il sindaco di Firenze accoglie con un liberatorio "era ora" l'annuncio che Letta salirà al Colle non esprime soltanto soddisfazione per una mossa che va nella direzione del chiarimento da lui auspicato. In realtà Renzi prende atto che Letta si è mosso prima del 20 febbraio, data della nuova direzione del Pd, e ha così deciso di prendere in mano il boccino della situazione, con la copertura del presidente della Repubblica e, si presume, con il pieno sostegno di Alfano.
Il che mette Renzi in una condizione meno agevole che in passato. Perché rimpasto o Letta bis, il segretario Pd dovrà trovare motivazioni più che valide per impedire a esponenti della sua maggioranza di entrare in un governo che avesse un programma rinnovato e un profilo politico più marcato, secondo i suoi auspici. 
Renzi ha un interesse prioritario: evitare che la partita politica nel governo possa provocare scossoni nell'intesa con Berlusconi sulla legge elettorale. Nell'ipotesi davvero remota che possa rompere gli indugi e accettare la staffetta a palazzo Chigi, Renzi sa che si esporrebbe al fuoco di fila dell'opposizione berlusconiana e dei grillini. Per lui sarebbe una fatica supplementare e forse insostenibile tenere separati i due tavoli. Né esiste l'ipotesi, davvero bislacca, di "larghe intese" con Forza Italia che torna in maggioranza.
Berlusconi si muove in questa fase come uno spettatore interessato, pronto a cogliere tutte le opportunità che le lacerazioni del Pd potranno offrirgli. Per questo i suoi interventi telefonici nelle manifestazioni dei club Forza Silvio sembrano contraddittori: accenna a elezioni anticipate (che non ci saranno, come ben sa), ma anche a riforme istituzionali da fare. Vuole un primo ministro dotato dei poteri di revoca dei ministri, ma chiede anche l'elezione diretta del presidente della Repubblica (il che significa farne il capo dell'esecutivo, e allora come può il primo ministro avere poteri superiori?). Il Cav. tira un colpo al cerchio e uno alla botte, strategia nella quale è maestro insuperato, e non potrebbe fare diversamente. La stessa strategia lo guida in queste settimane in una infornata di nomine che rischia di rendere Forza Italia simile all'esercito messicano, tutti ufficiali e neanche un soldato.

Dietro tante nomine, però, si intravvede l'astuzia del generale che galvanizza l'esercito alla vigilia della battaglia. Perché battaglia sarà alle elezioni europee e amministrative, a maggio. Più difficile sarà immaginare la guerra del voto politico in Italia. Quella potrà eventualmente deciderla Renzi, Napolitano permettendo.  

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