lunedì 17 febbraio 2014

RENZI UNO E DUE, DOPO LA CORSA LA PROVA TEMIBILE DEL SURPLACE

di Massimo Colaiacomo

Nessuno e nessuna circostanza possono mettere in discussione la nascita del governo Renzi. Acquisita questa certezza, la curiosità si sposta ora nel vedere il presidente incaricato sotto una luce nuova: esaurito il primo tempo della sua sfida, tutto giocto sulla corsa e sulla esuberanza, ora Renzi è chiamato a una sfida nuova per lui. Dovrà imparare ad alternare il ritmo sostenuto con la tecnica del surplace. Insomma, dopo essere stato Fausto Coppi, dovrà inventarsi un po' Maspes, il grande campione del ciclismo su pista capace di stare lunghissimi minuti fermo sulla bici per costringere l'avversario a lanciare lo sprint e infilarlo all'ultima curva dopo averne sfruttato la scia.
È un Renzi a suo modo inedito quello che vediamo muoversi nella scenografia dei palazzi della politica romana. Uscendo dallo studio alla Vetrata dopo il colloquio con Napolitano per il conferimento dell'incarico, Renzi è apparso per la prima volta ingessato nel linguaggio, prudenti le sue parole ed ecumenico nei propositi. Ma non generico. Il modo in cui ha messo in fila gli impegni nell'agenda del governo non è stato certo casuale. Eccoli: la legge elettorale a febbraio; a marzo la riforma del lavoro; a aprile la pubblica amministrazione; a maggio la riforma fiscale.
Anche il più ottimista dei renziani, naturalmente, avrebbe di che sobbalzare. Il presidente incaricato ha disegnato un vero percorso di guerra per il governo. Ma bisogna fermarsi sul calendario. La legge elettorale viene prima. Per la ragione, si può supporre, che in questo momento Renzi non dispone di armi per affrontare il negoziato duro da intavolare con un alleato riottoso e in difficoltà come Angelino Alfano. "Ricaricare la pistola" con la nuova legge elettorale è essenziale perché solo così Renzi può disporre di argomenti convincenti con Alfano. Non servono con Casini il quale, con la consueta sagacia tattica, ha già fatto la sua scelta pro-centrodestra bruciando Alfano sul tempo.
Non a caso Renzi ha ricordato ancora stamane, dopo il colloquio con Napolitano, che la sua azione riformatrice si svolge su due piani, quindi con due maggioranze distinte: una maggioranza "dell'arco cotituzionale" (curioso come chi si candida a fondatore della Terza Repubblica abbia rispolverato una figura tipica della prima), quindi con Forza Italia, approverà la legge elettorale e le riforme istituzionali; alla maggioranza propria di governo rimangono le scelte di politica economica.
Ora non c'è da stupirsi se Alfano e Quagliariello vedono più di un'insidia in questa tempistica renziana. Approvata la nuova legge elettorale, il quadro politico esce dal limbo in cui lo aveva confinato la sentenza della Consulta e la via del voto torna agibile in qualsiasi momento. Quest'arma è quella che serve a Renzi per ridurre a più miti consigli il riottoso alleato. Alfano sa di giocarsi il suo personale futuro politico nell'atto di nascita di questo governo. Chi e che cosa può dargli assicurazione che l'orizzonte della legislatura si allarga fino alla sua scadenza naturale nel 2018? Renzi ha manifestato questo proposito, ma si tratta di un atto in qualche modo obbligato, visto che è difficile per un presidente incaricato darsi una scadenza ravvicinata. Nella strategia di Alfano rimane una inevitabile ambiguità di fondo: se era rimasto nel governo Letta in coerenza con le "larghe intese" personalmente sostenute da Silvio Berlusconi, la stessa motivazione non regge in un governo la cui natura politica è necessariamente più marcata del governo Letta.
Le "larghe intese" residuate dal precedente esecutivo riguardano la legge elettorale e le riforme istituzionali, ma non il governo che nasce soltanto in quanto provvisto di una maggioranza "organica" fondata sul programma ed eventualmente sull'assegnazione dei dicasteri. Sono ambizioni avvelenate allora quelle che nutrono il Nuovo centrodestra. La maggioranza di "larghe intese" con Berlusconi sopravvive per fare la legge elettorale e Alfano pur facendone parte è soggetto ininfluente. La maggioranza di governo vive invece grazie ai voti di Alfano. Fin dove si può spingere l'intransigenza negoziale di Alfano sul governo senza che l'anello più ampio delle "larghe intese" finisca per riassorbire la fragile maggioranza di governo? Se così fosse ecco che d'incanto l'esecutivo di Renzi si trasformerebbe in quel "governo di scopo" per fare la legge elettorale e tornare al voto, magari già in autunno. Ma in quel caso sarebbe un governo obbligato per il rifiuto di Alfano. L'Ncd è in un angolo più di quanto non appaia. Anche perché difficilmente troverebbe sponda in un Casini sempre abile a rimpannucciarsi quando altri lo danno per finito.

Renzi si concede qualche giorno per riflettere sul percorso più adatto dei tanti che gli consentono le variabili messe in campo dai soci. Viaggerà in surplace e se ne starà sereno. Il "patto alla tedesca" è stato scritto in due mesi di dure trattative fra Angela Merkel e Peter Gabriel. Alfano e Renzi, in 72 ore, possono scrivere un "patto all'italiana", cioè sulla sabbia, in attesa che la prima ventata se lo porti via.   

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