sabato 15 febbraio 2014

RENZI SAPRÀ TRASMETTERE LA SUA AMBIZIONE ALL'ITALIA?

LA SCORCIATOIA USATA PESERÀ SUL FUTURO DEL GOVERNO

di Massimo Colaiacomo

Tutto è stato scritto, ancora di più è stato pensato su Matteo Renzi. Il quasi presidente incaricato è entrato sulla ribalta politica con l'eleganza di un tritasassi, ha quasi malmenato il presidente uscente Enrico Letta, uomo di solida concretezza e larga visione politica, e ora mette le mani sul volante con la promessa di una controsterzata tale da rimettere in carreggiata l'Italia.
La grande curiosità per l'evento è stata un bel po' frenata dai modi spicciativi usati. Però, al sodo, viene da chiedersi: Renzi può essere il ritorno prepotente della politica o sarà soltanto il terzo tempo della sua "sospensione tecnica"? Guardando alla mobilità pulviscolare dei partiti minori, tutti o quasi in surplace - Alfano più di Casini e Monti meno di entrambi - verrebbe da credere alla seconda ipotesi. Su Renzi incombe lo spettro non più delle larghe intese ma di una maggioranza "a macchia di leopardo", con apporti spuri e giochi di trasformismo parlamentare quale non si vedevano dai tempi di Francesco Crispi. Se davvero il prossimo governo dovrà contare su una "maggioranza Arlecchino" in Parlamento diventerà difficile per Renzi invocare la riforma elettorale nella versione fin qui immaginata da lui e da Berlusconi.
Non a caso la stampa estera ha accolto con un misto di curiosità e di scetticismo l'irruzione del sindaco fiorentino sul piano del governo. Se Financial Times ne fa il ritratto di un moderno Fonzie, accusandolo di aver preso "una scorciatoia pericolosa", il laburista Daily Telegraph oltre alla cronaca politica, dedica alla situazione italiana un'analisi in chiave europea. "Se gli italiani guardano con nostalgia ai giorni di Berlusconi, l'Europa ha solo se stessa da biasimare", scrive il quotidiano in un editoriale. "L'Europa - si legge - ha incoraggiato una politica debole e tecnocratica in Italia escludendo Berlusconi nel 2011, introducendo una nuova era di governi che non godono del sostegno elettorale". E Matteo Renzi è "il giovane politico che viene visto, come Monti prima di lui, come un cavaliere sul cavallo bianco, un 'salvatore' che ripulirà la politica italiana. Tuttavia il sindaco di Firenze non ha mai corso in elezioni nazionali, cosa che potenzialmente è una debolezza per un uomo che deve imporre la sua autorità in un parlamento diviso e senza maggioranza".
Colpisce in queste parole l'atto d'accusa all'Europa (e, oggi, Europa è sinonimo di Berlino e di Merkel) colpevole di aver incoraggiato i governi tecnocratici pur di far fuori Silvio Berlusconi. Se a Berlino si è pensato alla riduzione della politica, e quindi del consenso popolare, come terapia d'urto per riportare la finanza pubblica italiana sotto controllo. Una scorciatoia pericolosa che da tre anni priva l'Italia, unico Paese in Europa, di un governo politico fondato sul consenso popolare. Non è accaduto in Grecia, chiamata alle urne due volte fra il marzo e il giugno 2012, e in nessun altro dei Paesi che hanno goduto degli aiuti di Stato.

Se un golpe si è consumato in Italia esso non è stato tanto contro Silvio Berlusconi, quanto piuttosto contro il dovere della politica di esercitare il suo primato nel governo del Paese. Del resto, la confisca della politica da parte di poteri ad essa estranei non è storia di oggi. L'esordio di questa condizione risale almeno ai tempi di Tangentopoli. Da allora i governi tecnici sono stati: Ciampi, Dini, Monti, Letta e, ora, in quella dimensione rischia di finire Renzi. Un Paese privato di una legge elettorale con un Parlamento privo della capacità di farne una purchessia, come può aspirare al proprio riscatto?

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