lunedì 10 febbraio 2014

PRODI, MONTI E DE BENEDETTI GETTANO IL QUIRINALE NELLA BURRASCA

di Massimo Colaiacomo

Le affermazioni fatte da Mario Monti, Romano Prodi e Carlo De Benedetti al "pubblicista" Alan Friedman  sono soltanto "confidenze personali" e "l'interpretazione che si pretende di darne in termini di 'complotto' sono fumo, soltanto fumo". Si chiude con un'accusa pesante all'indirizzo dei tre protagonisti, certo non involontari, la lettera con cui Giorgio Napolitano ricorda al direttore del Corriere della Sera la trama dei fatti dell'estate-autunno 2011 che culminarono con le dimissioni del governo Berlusconi.
Una vicenda brutta, scivolosa per Napolitano il quale, quando a sera prende carta e penna per precisare i contorni, da sfogo alla sua irritazione verso Prodi, Monti e De Benedetti per non aver osservato il riserbo dovuto alle confidenze del Capo dello Stato. Una storia di confidenze rivelate, di interlocutori che salgono le scale del Quirinale e a distanza di tempo decidono di rivelare i loro conversari con Napolitano ad Alan Friedman. Il succo, come si sa, è che Napolitano già nel giugno 2011, cioè cinque mesi prima delle dimissioni di Berlusconi, avrebbe chiesto a Monti la sua eventuale disponibilità ad assumere l'incarico di formare il governo. Forza Italia ha visto in questa circostanza la radice di un complotto contro Berlusconi, sotto la regia del Quirinale, e in attesa che entrasse in gioco la speculazione sul debito pubblico per rendere attuabile il piano ordito dal Colle con la sponda, come ha sempre sostenuto Forza Italia, del governo tedesco.
Ha ragione Napolitano nel ricordare che i fatti di quell'anno sono "noti e incontrovertibili". Noto e incontrovertibile era lo sfarinamento di una maggioranza di centrodestra, dopo la spaccatura del PdL con l'uscita di Gianfranco Fini. Come nota e incontrovertibile era la divaricazione fra il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e il presidente del Consiglio. È altrettanto noto e incontrovertibile quello che ricorda il capogruppo azzurro Renato Brunetta, cioè il Documento di finanza pubblica del governo Berlusconi aveva avuto il via libera della Commissione europea e lo spread Btp-Bund viaggiava intorno ai 200 punti ancora a luglio. Quando poi i mercati si fanno "sottili", cioè con scambi molto bassi e di solito accade ad agosto, si scatenò la tempesta sul debito pubblico italiano e da allora lo spread partì a razzo fino a raggungere i 511 punti di differenziale a novembre.
Questi i fatti "noti e incontrovertibili" raccontati, e già questo è anomalo, in due distinte metà, una del Quirinale e l'altra di Forza Italia. L'uno ignora i fatti dell'altro, e viceversa. Senza però mettere assieme le due cose è difficile ricostruire in modo attendibile quel che accadde in quei mesi del 2011. La storia di Napolitano che incontra Monti a più riprese, la rapidità della sua nomina a senatore a vita l'8 novembre e l'incarico di governo qualche giorno dopo non sono circostanze tali da autorizzare la tesi del complotto.
La curiosità, e quindi il profilo politico della vicenda, è altrove. Perché Mario Monti, Romano Prodi e Carlo De Benedetti hanno deciso di rivelare a Friedman le confidenze fatte da Napolitano a Monti e da questi riferite a Prodi e De Benedetti? Il succo non è nella storia in sé, ma nei suoi protagonisti, primari e comprimari, che la raccontano sapendo di mettere in cattiva luce il ruolo del Capo dello Stato. Hanno alimentato "fumo, e soltanto fumo", come scrive Napolitano al Corriere della Sera, oppure l'animo malmostoso di Prodi doveva ancora smaltire la cocente bocciatura della corsa al Quirinale? E Mario Monti, beneficiato del laticlavio e dell'incarico di governo, perché ha rivelato affermazioni tanto impegnative? 
Qui bisogna allora affidarsi a un altro "fumo": quello che Rino Formica vede alzarsi, come un indizio, dall'intesa fra Renzi e Berlusconi. È davvero circoscritta, si chiede l'ex ministro socialista, alla legge elettorale, riforma del Titolo V e del Senato oppure contiene qualche codicillo non rivelato, tipo l'elezione di un nuovo Capo dello Stato? Formica, da scrupoloso e acuto analista, ricorda una recente battuta di Renzi secondo cui "questo Parlamento eleggerà l nuovo Capo dello Stato". Ora, se è vero che l'accordo Renzi-Letta cronometra la legislatura fino alla primavera del 2015, perché sia questo Parlamento a eleggere il nuovo presidente della Repubblica è ovvio che Napolitano dovrebbe liberare quella casella prima di allora.

In mezzo a simile trambusto, si sono smarrite le ragioni del rimpasto o del reincarico a Letta. Dell'agenda di Impegno 2014 non c'è neanche più traccia. Si profila all'orizzonte un nuovo periodo di forte turbolenza politica e i mercati torneranno a mettersi in agguato. Chissà se gli attori di questa storia si avvedono della tempesta che rischia di sommergere l'Italia.  

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