mercoledì 27 novembre 2013

LETTA TROPPO IMPEGNATO A DURARE NON PUÒ GOVERNARE

di Massimo Colaiacomo

La fine del governo Letta è scritta nelle cose, nella realtà dura e prosaica resa invisibile dai polveroni mediatici, dalle folate polemiche sollevate ora della decadenza di Berlusconi, ora dalle telefonate del ministro Cancellieri, ora dalle smanie di premiership che danno prurito alle mani del sindachino di Firenze. La raffigurazione che ne esce è quella di una giostra impazzita, metafora di un sistema istituzionale giunto al capolinea e ormai irriformabile. Un premier che si trascina stancamente da mesi, in compagnia di un surreale ministro dell'Economia dai modi alquanto macchiettistici, alla ricerca di 2,4 miliardi per cancellare la seconda rata dell'Imu salvo trovare la soluzione in una serie di anticipi fiscali che colpiscono banche e imprese, è un premier che ha gettato la spugna. L'unico impegno rimasto a LEtta è la durata della sua permanenza a Palazzo Chigi. Anche lui finito prigioniero della sindrome giolittiana secon ocui "durare è tutto, governare è niente".
I problemi che ha davanti sono stati resi insormontabili dopo il voto del Senato con cui si è sancita la decadenza di Berlusconi. È bene sgombrare il campo dagli equivoci: qui non si vuole giudicare la bontà o l'opportunita del voto del Senato. Queste cose si lasciano volentieri ai Santoro e ai Floris e agli imbonitori che fioriscono per ogni dove. L'analisi dei fatti politici deve necessariamente prescindere dalla loro dimensione morale: dove c'è la morale la politica è fottuta. She died and buried.
Il cumulo di errori di Letta, assecondato da un Capo dello Stato per la prima volta in vistoso difetto di lucidità, sovrasta e annulla i suoi già scarsi meriti. La Legge di Stabilità è qualcosa di peggio che una legge inutile e dannosa, come ripetono le prefiche di Forza Italia: essa pone le premesse per il commissariamento dell'Italia. Si fa strame del reddito di impresa e si affondano le mani nelle tasche già vuote dei cittadini. Come possa crescere un Paese i cui abitanti non dispongono dei soldi necessari per alimentare i consumi rimane un mistero sul quale il ministro Saccomanni potrebbe esercitarsi con qualcuno dei suoi sonetti romaneschi.
La contabilità fiscale dello Stato presenta una casella vuota alla voce "spese da tagliare". Al contrario, non ci sono più caselle disponibili nel capitolo dedicato al prelievo fiscale. Il dramma italiano è racchiuso tutto in questo strabismo, che dura da quanto dura la Repubblica o poco meno. Con un sistema istituzionale ridotto allo stremo e in balia dei disegni sempre più umorali del Capo dello Stato, è difficile immaginare quanto possa andare avant un Parlamento dai cui scranni mancano i leader che da soli rappresentano quasi il 70% degli elettori. Le Camere non rappresentano più il Paese se Berlusconi, Renzi e Grillo ne sono fuori. L'assenza di leader politici, ma padroni del Parlamento per effetto del porcellum che li rende padroni delle nomine dei parlamentari, è una patologia che rischia di divorare le periclitanti istituzioni repubblicane.

La sola vera missione di questo Parlamento dovrebbe essere la riforma elettorale o l'eliminazione delle incongruenze del "porcellum" per andare quanto prima alle elezioni. Chi immagina che il governo possa assumere un'iniziativa in questa direzione è un povero illuso. Non l'ha fatto fino a oggi, pur godendo di una vasta maggioranza, nel timore che riforma la legge si corresse verso le urne, perché mai lo farebbe ora che la sua maggioranza corre sul filo di lana? La paralisi dei prossimi mesi, causata dai comportamenti temerari del Capo dello Stato, è fieno per la cascina di Grillo e per tutte le opzioni populiste che si vanno rafforzando, compresa quella di Berlusconi. Il quale avrebbe la possibilità, ora che è fuori dal Parlamento, di lavorare al progetto annunciato vent'anni fa e venduto come una pozione miracolosa ma mai davvero sperimentate: lavorare alla costruzione di una destra di impronta europea e mettere in piedi un'opposizione ferma, determinata e puntuale, non demagogica e senxa cedimenti alle sitene del populismo grillino. È possibile che il Cavaliere faccia ora quel che non ha fatto nei precedenti vent'anni? È difficile da credere. Allora dalla padella di Letta si passerà agevolmente nella brace di una competizione elettorale in cui si confronteranno il populismo poujadista della destra e il populismo sgangherato e utopistico d Beppe Grillo. Con tanti saluti all'Europa.

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